Lavori fermi da trent’anni, burocrazia e assessori che vanno ai comizi: cosa c’è sotto il fango che ha distrutto le Marche

Quei morti si potevano evitare? E’ la domanda che da giorni, da dopo l’alluvione nelle Marche con l’esondazione del fiume Misa che ha provocato oltre 10 morti, sono in molti a porsi. Perché quanto ha caduto era una tragedia annunciata, una disgrazia figlia soprattutto della burocrazia, dell’ostruzionismo militante ad ogni opera e della cattiva politica.

Lo spiega meglio di chiunque altro il presidente dell’ordine dei geologi marchigiani e docente universitario Piero Farabollini, su Il Messaggero. “La situazione del fiume era nota. Non possiamo più pensare che questi eventi meteorici siano l’eccezione, il cambiamento climatico non arretrerà, è ora che iniziamo a farci i conti – spiega -. La situazione di rischio dell’area è nota da tempo. Uno dei primi progetti, quello per la vasca di laminazione di Bettolelle e Brugnetto, risale al 1986. Già allora furono stanziati circa 4 miliardi di lire necessari anche alla manutenzione ordinaria nell’alveo. Ma non è mai stata realizzata. E non ci si è riusciti neppure dopo l’alluvione del 2014. Io so no convinto che la vasca da sola forse non avrebbe risolto il problema tout court ma sicuramente, se poi negli anni si fosse anche fatta una manutenzione adeguata, avrebbe consentito di contenere i danni e soprattutto di evitare le vittime”.

Ma perché un’opera così essenziale non è stata mai realizzata in 30 anni? “La realizzazione ha subito rallentamenti di diverso tipo, ma in gran parte si tratta di stop burocratici – denuncia Farabollini -: dalle questioni relative all’impatto ambientale fino all’alternarsi della competenza di Provincia e Regione, ma pure le difficoltà con gli espropri o nell’indire le gare d’appalto. E hanno contribuito anche le raccolte firme degli ambientalisti che non volevano né l’opera né la pulizia dell’alveo per non intaccare la naturalità dell’ecosistema. Ma non c’è bisogno neanche di andare così indietro nel tempo per capire che le cose non funzionano. Dopo l’evento del 2014 qualcosa sembrò muoversi, e nel 2016 furono individuate nuovamente le opere considerate necessarie per mettere in sicurezza la zona. L’autorità di bacino e il progetto CasaItalia – ItaliaSicura finanziarono il progetto e, per il solo fiume Misa, sono stati messi a disposizione 45 milioni di euro. Ma ci sono voluti 5 anni solo per fare il bando e, per modo di dire, i lavori solo iniziati ad inizio 2022. Al momento si è solo recintata l’area della vasca e speriamo che si riesca a realizzarla nel giro di due anni”.

“Bisogna pianificare azioni adeguate per adattarsi ed essere resilienti, a partire soprattutto dalla semplice manutenzione ordinaria – attacca ancora il geologo -. Per fare un esempio: il fiume Misa anche stavolta ha trasportato a valle legname e detriti che non ci sarebbero dovuti essere perché, se presenti, sono pericolosi. Questi infatti sono un ostacolo al regolare deflusso del fiume e hanno finito con il tappare i ponti. Qualsiasi ostacolo che l’acqua trova sul suo cammino o viene strappato via o viene aggirato. Quando lo bypassa però, il fiume aumenta in velocità e altezza. Cioè diventa devastante. Di chi sono le responsabilità? Impossibile dirlo con precisione. Ma in teoria la manutenzione sarebbe toccata alla Regione. In ogni caso non spetta a me stabilirlo, anche perché non sarei in grado di definire le motivazioni per cui i fondi che sono stati resi disponibili non sono poi mai stati utilizzati. Capisco che spesso i tempi si allungano, ma se non si fa prevenzione ci ritroviamo sempre a rincorrere le emergenze. E poi, per capire che le cose non vanno, vorrei ricordare che l’inchiesta della procura della Repubblica per accertare le responsabilità del 2014 è ancora in corso e hanno già aperto un fascicolo nuovo per l’alluvione di qualche giorno fa”.

Insomma, il “modello Marche” che Giorgia Meloni vuole riproporre alla guida del Paese non sembra poi così infallibile. Soprattutto se si considera che durante le prime ore dell’alluvione, l’assessore regionale delle Marche alla Protezione Civile Stefano Aguzzi, candidato in Parlamento con Forza Italia, stava partecipando ad un dibattito elettorale a Senigallia invece di sedere nella sala operativa che coordinava le operazioni di soccorso. Evidentemente il discorso sullo stop alle sanzioni alla Russia era più urgente del mare di fango che ha devastato un intero territorio e ucciso oltre 10 persone.

“Sono stato solo un quarto d’ora” si difende Aguzzi, che in realtà ha lasciato il cinema quando è arrivato l’allarme per la piena che stava per raggiungere anche Senigallia. “Non era un dibattito organizzato dal mio partito – aggiunge, rispondendo alle domande di Repubblica -. Ero consapevole che la situazione non era buona a Cagli-Cantiano, ma quella non è la vallata del Misa. Quando a Senigallia il sindaco mi ha detto di essere preoccupato perché pioveva in montagna, sono andato nella Sala operativa di Ancona dove sono rimasto tutta la notte”.