Come i bambini. Matteo Salvini e Giuseppe Conte sono come i bambini. Perdono e si vogliono portare a casa il pallone. Voti più che dimezzati nel caso della Lega, superata da Fratelli d’Italia anche nelle roccaforti del Nord, e Movimento 5Stelle semi sparito e mai così in basso nei consensi sui territori. Eppure loro non ci stanno e reagiscono con le minacce. A Mario Draghi, all’Italia.
Salvini, che ha perso sulla strada per Mosca quel poco di lucidità (e credibilità) rimasta dopo l’estate del Papeete e il lungo inverno del covid, si vede crollare la terra sotto i piedi e rispolvera la solita solfa della retorica antieuropea, anti occidentale, anti draghiana. Cercando di ignorare che al Governo ci sta anche la Lega e che la frattura interna coi suoi inizia ad essere difficilmente sanabile. Che fa, dunque, il Kapitano? Minaccia di togliere l’appoggio a Draghi, come richiesto dalla Meloni agli “alleati” in vista di un rinnovato blocco del centrodestra alle Politiche del 2023, dove è già chiaro che la leadership non sarà di Salvini, sebbene lui continui a vaneggiare che “alle Politiche il primo partito del centrodestra sarà la Lega”. Troppi mojito al Papeete in questo avvio di estate, probabilmente.
“Fratelli d’Italia beneficia dell’essere all’opposizione, noi abbiamo preferito responsabilmente farci carico dei problemi degli italiani – delira sul Corriere della Sera -. Ci siamo sacrificati per buone cause, ma il governo deve fare di più altrimenti delude i ceti produttivi che un tempo apparivano entusiasti di Draghi. Il risultato è che i nostri elettori preferiscono stare a casa. Sindaci e militanti mi segnalano una crescente insofferenza verso un governo che appare sbilanciato a sinistra su troppi temi. Su pace fiscale, pensioni, immigrazione, giustizia. Serve un cambio di passo”. Ed ecco la minaccia, che certamente resta solo tale, di far saltare il banco. “Ora tutti quei dirigenti e militanti, compresi Zaia e Fedriga, che credevano in Draghi e in questo governo, col perseverare degli errori di Speranza e Lamorgese, di Bianchi e Giovannini, mi chiedono di rifletterci bene… – spiega, dando sempre la colpa agli altri -. Draghi deve sapere che ci sono temi su cui non siamo disposti a transigere. Attendo risposte entro l’estate, temo un autunno molto difficile. Ci sono tre mesi per sminare il terreno. Torneremo sul pratone di Pontida il 18 settembre, per quella data vogliamo risposte”. Ma Pontida, Matteo lo sa, potrebbe rivelarsi per lui anche la grande trappola che i “suoi” compagni di partito gli stanno preparando. Ma il Salvini ormia fuori dalla realtà dà la colpa di quelli non alle sue posizioni filo russe e allo scivolone sul viaggio a Mosca, ma ovviamente al Governo Draghi. “I mugugni ci sono stati, e tutti nei confronti del governo: il ministro Giorgetti giustamente protesta perché la messa al bando delle auto a benzina e diesel sarà un massacro per l’industria italiana – conclude, con un’innata capacità di mistificare la realtà -. I governatori giustamente protestano perché, con questa burocrazia e queste difficoltà, molti miliardi del Pnrr non potranno mai essere investiti. E il percorso verso l’autonomia, che ormai è richiesta a Nord e a Sud, è ancora troppo lento. E tutti protestano perché sul Reddito di cittadinanza non ci sono controlli e modifiche promessi da tempo. È mio dovere prendere atto di queste riflessioni e lavorarci”.
Se la Lega piange, il Movimento cinque stelle non ride. E, ovviamente, in linea con il perdente asse gialloverde uscito con le ossa rotte dalle Amministrative, anche Giuseppe Conte minaccia Draghi. “Molti cittadini ci hanno chiesto di uscire dal governo, il nostro elettorato sta soffrendo – ha detto l’avvocato del popolo –. Non ci sentiamo di voltare le spalle ai cittadini, siamo responsabili ma che nessuno ci dica di stare zitti, che ci sia una sospensione della dialettica politica”. Conte, come Salvini, sta tentando disperatamente, con la sua posizione “contro”, di recuperare un po’ dei consensi persi nella recente consultazione elettorale. Come? Tornando a bomba con il no al termovalorizzatore di Roma e con la contrarietà ad un nuovo invio di armi all’Ucraina, col premier che riferirà in aula il prossimo 21 giugno. LE diplomazie sono al lavoro, con Draghi che ha inviato come ambasciatore Enzo Amendola, sottosegretario ai Rapporti con l’UE, a distendere gli animi e a superare la propaganda pacivendola gialloverde. Come per il resto della linea politica di Lega e M5S, i ministri Giorgetti e Di Maio sono pro Draghi e contro i loro segretari di partito, ritenendo le intemperanze di Conte e Salvini come rumore populista ma senza fondamento. Giorgetti, come riporta Il Fohlio, si sarebbe lasciato sfuggire che mettere in discussione la linea atlantista del governo sarebbe “una roba da pirla”. Idea prevalente in quell’area. “Noi Draghi dovremmo metterlo in mora abbastanza velocemente, visto che era stato messo lì per cambiare le regole europee e fare gli interessi del paese, e invece fa solo gli interessi suoi, e credo che questo lo abbiano capito anche i più accaniti dei nostri governisti”, sentenzia invece il salviniano Claudio Borghi, neo perdente anche lui nella “sua” Como, dove al ballottaggio ci vanno FDI e FI. “Dire di nuovo sì all’invio di armi sarebbe per noi il punto di non ritorno” sostengono invece i grillini più irriducibili, legati a Conte e auna linea che però non si capisce bene quale sia. Linea filo atlantica che, invece, non è in discussione per il ministro Di Maio. La partita è aperta, ma una cosa è certa: forzare in questo momento non conviene né a Conte né a Salvini.