Romeo il russo, l’uomo della Lega di Putin che mira a far cadere Draghi

“Se l’obiettivo è quello, e ne sono convinto, di salvare il Paese, vediamo due scenari all’orizzonte: prendere atto che il Movimento 5 stelle non fa più parte della maggioranza del governo di unità nazionale. Prendendo atto che il M5s è fuori, a questo punto si prenda atto che è nata una nuova maggioranza che è quella del 14 di luglio. Noi ci siamo, ma con una maggioranza e un nuovo progetto”. Con queste parole il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha dichiarato guerra a Mario Draghi, mosso dalla mano di Putin che confida in una caduta di Supermario.

Romeo, infatti, presidente dei senatori della Lega, è notoriamente filorusso. Nel 2016 presentò una mozione in cui chiedeva il riconoscimento del referendum voluto dal Cremlino per l’annessione della Crimea, occupata dai russi con un’azione militare violenta mai riconosciuta come legale dall’ONU. Ed è chiaro, a fronte delle ingerenze russe nella crisi del Governo Draghi, che ad animare le parole di Romeo ci sia anche quel forte legame che unisce la Lega di Salvini al partito di Putin, Russia Unita.

Il centrodestra di governo attacca, dunque, frontalmente Mario Draghi, chiedendogli di formare un nuovo governo “profondamente rinnovato”, con nuovi ministri e senza il Movimento Cinque stelle. “La Lega è pronta ad accordare il sostegno all’azione di un governo profondamente rinnovato sia per le scelte politiche sia per la composizione” si legge infatti nella proposta di risoluzione firmata da Roberto Calderoli, a cui si è accodata anche Forza Italia dopo il vertice di centrodestra “di maggioranza” dell’ora di pranzo. Draghi, dopo essere uscito dall’aula del Senato in seguito all’intervento del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, ha avuto un colloquio con alcuni ministri di Pd e FI, tra cui Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Renato Brunetta e Roberto Speranza.

Il destino del Governo Draghi sembra segnato: il premier, infatti, non intende farsi ricattare dai filorussi e non intende accettare le condizioni della Lega e di Forza Italia, perché significherebbe sconfessare l’azione del suo governo. Se viene sfiduciato, invece, può uscirne a testa alta: si va, pertanto, verso la conta in aula con il voto sulle risoluzioni. Draghi potrebbe a quel punto aspettare l’esito di questi voti prima di decidere il da farsi. Ma le elezioni di ottobre – con Salvini e Berlusconi piegati al volere della Meloni, futuro candidato premier – sono sempre più vicine.