Quanto c’è di vero dietro la strage di Bucha? Qual è il numero esatto delle donne violentate e uccise in Ucraina dall’inizio del conflitto? E gli uomini torturati? I bambini ammazzati solo perché trovatisi al posto sbagliato nel momento sbagliato? Sono le tante domande che tormentano i negazionisti, quelli che anziché indignarsi per quanto sta accadendo a Kiev e dintorni non fanno che insinuare dubbi e perplessità. Un coro a cui si sono uniti giornalisti, scrittori e personaggi del mondo dello spettacolo. Tutto a beneficio dell’audience ovviamente, che trae linfa vitale dal dibattito, dalla rissa, dalla querelle che molto spesso si traduce in un dialogo fra sordi.
“Nei talk show tv, seguendo il fortunato schema collaudato nella pandemia, si invitano voci dissonanti, divergenti, fuori dal coro per preservare lo spirito democratico del dibattito”, come spiega Massimo Recalcati in un articolo uscito su «La Stampa» dal titolo “La tv, la libertà e la propaganda”. Chi seguiva i talk sul Covid, ora incentrati sull’invasione dei Russi, ne riconosce i cliché, gli stilemi. “Il populismo no vax si trasfigura così in quello dell’equidistanza se non dell’aperta difesa di Putin, vittima della maligna avidità dell’Occidente. Insomma, dovremmo fare attenzione alla contraffazione della verità che, attraverso la spudorata manipolazione dei media, la riduce a mera propaganda guerrafondaia che difende gli interessi americani, una Europa corrotta e incapace, l’elite finanziaria, l’oligarchia del governo Draghi, il tradimento del popolo, ecc. Di fatto sarebbero in corso due guerre distinte: quella che gli eserciti combattono sul campo e quella del conflitto delle interpretazioni”, tira le conclusioni Recalcati. E non si può che dargli ragione. Basterebbe solo leggere i commenti sui social in basso all’ultimo post della Presidenza del consiglio dei ministri, sul viaggio negli Stati Uniti di Draghi, per rendersene conto.
Sconfortata dalla mancata solidarietà unanime all’Ucraina Edith Bruck, che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori della Shoah. Come una buona parte degli Italiani anche lei si chiede: ma non bastano le testimonianze, le immagini, i racconti dal fronte? “I preoccupati per la difesa ad oltranza della verità”, come osserva Recalcati, direbbero che “alcuni dettagli non tornano, alcuni elementi restano contradittori, non tutto quadra, bisogna fare attenzione”.
“‘Anime belle del cazzo’, risponderebbe loro Pasolini, non vedete che qui c’è un popolo che lotta disperatamente per la difesa eroica della propria terra offesa da una invasione che non può avere giustificazioni? Nella sproporzione delle forze, nell’ingiustizia di un’aggressione subita, nella cieca violazione dell’intimità delle famiglie, nelle città rase al suolo, nell’atroce sofferenza collettiva, un popolo resiste. E voi credete davvero che nel nome della ricerca paziente della verità sia necessario mostrare la sfumatura, indicare dove le acque si mescolano, le colpe comuni, gli inganni e i torti reciproci, problematizzare, disquisire per scambiare i piani, mettendo sullo sfondo ciò che deve restare al centro e viceversa?”, si chiede Recalcati. Una morbosità quella dei negazionisti che non è sete di verità, ma la sua più acerrima nemica.