Non si spegne la polemica conseguente allo sciopero indetto dall’Anm lo scorso 30 aprile contro la Riforma Cartabia; riforma che a breve, verrà comunque approvata in Senato dove non si attendono sorprese particolari, visto anche il lungo lavoro di trattativa condotto dalle forze politiche prima dell’approdo del testo in Parlamento (per inciso, la Camera l’ha già approvata).
E allora perché l’iniziativa – tardiva e inutile – dei magistrati?
Si tratta, infatti, di uno sciopero illogico come lo ha definito giustamente il gip di Milano Salvini, che ha come conseguenza quella di minare ancor di più la fiducia dei cittadini nella magistratura, come hanno rilevato il dottor Di Matteo e l’ex magistrato Armando Spataro. Uno, sciopero, quindi, che ha tutto i contorni dell’autoreferenzialità e della difesa di privilegi di casta che peraltro, la riforma scalfisce solo in parte. Ma nonostante le voci dissonanti di illustri magistrati, l’Anm non si ferma.
Una lettura assai interessante sulle reali motivazioni che stanno alla base dello scontro innescato con questa decisione la offre, su il Riformista, l’avvocato Giorgio Varano dell’ Unione delle Camere Penali Italiane.
Il percorso legislativo per riformare la giustizia – fa notare l’avvocato – non si esaurirà con l’approvazione in Senato e la promulgazione della legge, perché vi sono delle modifiche e degli istituti che dovranno attendere i cosiddetti Decreti Delegati affinché le novità introdotte vedano finalmente la luce e siano operative nelle corti italiane; insomma, una sorta di tempi supplementari in cui a magistratura spera ancora dire la sua per modificare parzialmente o rendere “inoffensive” le norme che maggiormente vanno a intaccare il privilegium togae. Ecco perché allora, che lo sciopero viene indetto come arma di pressione sul potere legislativo, con ciò effettuando una vera e propria invasione di campo e sfidando, secondo alcuni, palesemente la Costituzione.
E – afferma ancora Varano – se il problema è quello del presunto attentato all’indipendenza della giurisdizione, perché niente è mai stato detto dall’Anm riguardo all’annoso problema dei cosiddetti “fuori ruolo”, cioè quei magistrati che occupano i ruoli ministeriali, o sono a capo di Dipartimenti legislativi ormai senza soluzione di continuità da decenni? Eppure anche quella è una questione di indipendenza della magistratura, in particolare sotto il profilo interno. Ma forse, in tal caso, la contiguità con la politica va bene perché consegna esclusivamente e integralmente nelle mani dei giudici il processo legislativo nella sua dinamica più tecnico-giuridica, escludendone, peraltro senza motivo, gli avvocati e i giuristi universitari.
In questo doppiopesismo delle toghe italiane vi è tutta la natura strumentale di uno sciopero che assume una inaccettabile valenza politica sotto il paravento del principio della “indipendenza della magistratura” frainteso in modo inaccettabile come sinonimo di mancata responsabilità innanzi ai cittadini e alle istituzioni che ne rappresentano la volontà e la sovranità e in nome dei quali si esercita l’attività giurisdizionale (“In nome del popolo italiano…”).
I presunti condizionamenti che deriverebbero – secondo le critiche dell’Anm – da alcuni istituti contemplati nella riforma (ad es. il fascicolo-performance) sono di natura meramente psicologica, interna al singolo magistrato che ne dovrebbe rispondere innanzi a se stesso qualora la sua sentenza fosse frutto di pressione e non emanata secondo diritto. Non è certo questione legislativa né tantomeno rappresenta una motivazione sufficiente per esentare l’operato del giudice da una valutazione circa l’efficacia, l’efficienza e la qualità del lavoro svolto (come, peraltro avviene in tutti i mestieri del mondo). Incaponirsi nel voler fraintendere in modo così deliberato il principio di indipendenza fa torto alla legge e al costituzionalismo liberale per come lo conosciamo dal ‘700 in poi ed è una vera e propria anomalia italiana.
Amaramente, dunque, si deve concludere che la tesi di Varano circa il tentativo in extremis di disinnescare la riforma in sede di delega d’attuazione, in nome della difesa della casta e della sua intoccabilità ha molto senso e costituisce l’ennesimo colpo di coda di una (parte della) magistratura che non vuol proprio riconoscere di essere un potere nello Stato e non un ordine “ab-solutus”.
Per fortuna, pare che anche all’interno dell’ordine giudiziario qualche toga coraggiosa ci sia e che stia prendendo le distanze dai colleghi militanti dell’Anm in nome di una nuova categoria ontologico-politica che va sotto il nome di “neneismo”, declinato in senso giudiziario (né con la Cartabia né con l’Anm).
Staremo a vedere soprattutto con riferimento alle legittime esigenze dei cittadini che paiono essere completamente trascurate in questa vera e propria lotta di potere.