Quel muro post-ideologico che continua a dividere invece di unire

di Francesco Rubera

La crisi del pensiero liberale da un lato e il tentativo di un modello socio-politico di tipo egalitarista-assistenziale dall’altro, rappresentano i simboli storici, del complotto classista che ha governato il pensiero politico di 70 anni di repubblica. Si tratta di un dualismo intellettuale oramai desueto di fronte ad una società moderna egemonizzata dalle problematiche diintegrazione multietnica, multiculturale ove emerge ilmostro del conflitto religioso, già terribilmente enfatizzato nei fatti dell’11 settembre del 2001.

Le nuove frontiere del conflitto culturale, non più e non solo economico, svuotano di contenuto politico l’idea di confine del nazionalismo, che si pone in antitesi con il mondo dell’era globale. Il liberismo si limita ad esaltare l’idea che sia il mercato ad organizzare gli scambi e persino il lavoro globalmente inteso attraverso la tastiera di un tablet o di un pc; l’idea rivoluzionaria populista per altro verso vienemortificata da una affermazione e concezione chiusanel nazionalismo esasperato, che avversa l’idea dello ius soli. Una idea non disposta all’integrazione culturale con altre comunità. Si potrà mai parlare di costruire una democrazia Europea in un territoriogeografico composto da Stati che rappresentano un aggregato di comunità collegate tra loro solo dal mercato e che negano l’integrazione? Come si fa ad impedire segregazione, razzismo e aggressione e a tutelare la sicurezza dei cittadini, limitando al massimo l’uso della forza, se poi la stessa indisponibilità all’integrazione diventa intolleranza? Non accettazione del diverso? Come evitare che le multinazionali, unici utenti attivi del mercato globale,costituiscano un apparato di dominio ed esistano contestualmente e spesso in contrasto con gli interessi delle comunità, interamente sottomesse al mercato?

Viene in rilevo, dunque, non solo un problema di democrazia, ma di convivenza di uomini, popoli, poteri economici ambigui che hanno spesso interessi confliggenti ed il cui obiettivo è massimizzare il profitto, anche contro le regole della democratica convivenza sociale. Occorre, affinchè la democrazia si realizzi, che tutti possano vivere insieme, senza paura, riconoscendosi gli uni con gli altri nel rispetto delle diversità, nella costruzione della scala dei valoriuniversale. Occorre che vi siano credenze e convinzioni di cui ciascuna identità personale o collettiva sia portatrice, attraverso orientamenti di portata universale, in armonia con l’ispirazione generale del pensiero democratico. Essere democratici in una società multietnica, multiculturale e globale in cui l’esplosione del rischio dello scontro etnico-religioso è fortemente realistica, significa accettare un preliminare giudizio, analiticamente e universalmente riconosciuto, sia esso morale o estetico di ogni cultura, ponendosi in un rapporto paritario.

Questa situazione concettuale rappresentala base del principio di unità nel contesto contemporaneo, al di là delle differenze di contenuto e di costume. Ma questa risposta contiene un elemento di fragilità, poichè il riconoscimento dell’altro non è da solo sufficiente a garantire la comunicazione, il dibattito e, dunque, l’accordo che caratterizza ogni transazione sociale in epoche di transizione territoriale e geografica di interi popoli. Ed invero il rischio è quello di vivere la storia della societàcontemporanea, quali spettatori tolleranti, curiosi,simpatetici nei confronti di culture diverse, di organizzazioni sociali diverse, popoli diversi dai nostri, ma senza sforzarci a gettare le basi di unacomunicazione seria e condivisa sui valori universali della convivenza pacificaSi può definire democratico questo clima di mera tolleranza culturale in cui esplodono episodi terrorismo che alimentano ilrazzismo criminale e viceversa? E dal punto di vista economico può essere democratica una società che presenta da un lato autostrade, grattacieli e benessere e, dall’altro, ghetti, tuguri e desolazione?

Lo sviluppo economico della Cina racconta questa duplice storia della ricchezza e della povertà: la storia della loro convivenza! Una società di mercati globali e borse impazzite e di comunità chiuse ed economie primordiali è un modello di distruzione di qualsiasi cultura, laddove si intenda, per “cultura popolare; laciviltà di un popolo, l’apertura al progresso, un sistema di senso della distribuzione della ricchezza attribuito a talune pratiche socio-economichecollegate da un irrispettoso concetto della diversità. Ma è proprio questo sistema che viene meno, il sistema educativo, il sistema di senso attribuito a talune pratiche, poichè questa società dissocia senso e pratiche. Essa tiene i valori culturali rinchiusi all’interno di ogni comunità, come l’islamismo tiene chiuso l’Islam, e la cristianità il cristianesimo: le pratiche non hanno più senso, se non in un mondo sempre più regolato dalla legge del mercato, più desocializzato e delocalizzato, ma sempre più globalizzato nell’interazione economica, che restachiuso nelle concezioni antistoriche degli integralismicontinentali, racchiusi geograficamente, etnici e religiosi, non integrati e non aperti alle minoranze.

Noi occidentali e loro orientali, noi cattolici e loro musulmani, noi bianchi e loro di colore: abbiamo creato nuovi muri che non hanno i caratteri del vecchio muro di Berlino che separava liberismo e comunismo, oriente e occidente. Dopo l’abbattimento del muro di Berlino, che divideva est ed ovest del mondo, prima nel nome di una economia impazzita e poi sotto il falso nome di una religione di stato,abbiamo creato un muro peggiore, ideale, ma fisicamente e geograficamente inesistente, il muro post – ideologico, post-nazista, post-comunista, che alla base divide sempre il mondo tra ricchi e poveriUna barriera culturale tra due mondi, non visibile ad occhio nudo, ma che è cresciuta dentro le coscienzepopolari etnicamente sollecitate dagli istinti primordialidei fautori di guerra. Economicamente non ci siamo confrontati mai con l’Islam, ma con il potere islamico dei produttori di petrolio.

In questo universo in cui religione ed economia da un lato e, pratiche e valori dall’altro, vengono dissociati, non sono più sufficienti, ma addirittura impossibili, mediazioni sociali e soprattutto politiche. Il caso Reggeni è un esempio emblematico di questa tesi: non v’è possibilità di dialogo tra due culture che vedono il mondo dei diritti dei lavoratori in maniera diametralmente oppostaNon c’è dialogo di fronte ad un imperialismo economico che cresce a dismisura anche attraverso la legalizzazione di pratiche assolutamente illegali e vietate nelle democrazie occidentali, che vanno dallo sfruttamento del lavoro minorile, sino alla legalizzazione delle ecomafie di alcuni gruppi industrializzati orientali, riconosciute dentro i confini dei loro stati, sottomessi al potere economico di queste multinazionali impudenti.

In questo scenariovuoto, le culture con le loro diversità non possono essere ricostruite se non attraverso l’impegno profuso da ciascun gruppo per ritrovare la propria capacità di associare valori e pratiche universalmente riconosciute, per garantire la partecipazione al mondo dei mercati nel rispetto della conservazione della propria identità culturale, secondo una scala di valori internazionalmente riconosciuta. La distinzione tra le due interpretazioni, ottimista o pessimista dellediversità o delle frantumazioni della nostra esperienza socio-culturale deve passare attraverso la via del riconoscimento che la funzione della politica deve fungere da collante del dialogo sociale tra culture diverse, da promotore della democrazia e moderatore dello scontro, inteso unicamente in termini di dialettica costruttiva per il riconoscimento dei valori universali della pace.

Questo dialogo, non è sic et simpliciter espressione di libertà, nè si potrà intendere in un senso così riduttivo, ma presuppone che ogni individuo si costituisca quale attore e convenuto, quale soggetto e oggetto nello stesso contesto, mettendo in rapporto tra loro pratiche e valoriuniversali. Si tratta di approfondire quello che è stato lo spirito della democrazia industriale, vale a dire la difesa, in situazioni sociali concrete del diritto di ciascun individuo e ciascuna collettività di agire conformemente alla propria libertà e nel rispetto della libertà dell’altro gruppo.

La Germania del dopoguerra è stata ricostruita dalle macerie grazie alla convivenza laboriosa degli immigrati di tutta Europa. Non si tratta quindi di riconoscere il valore universale di una cultura o di una civiltà rispetto ad un’altra, ma, ben diversamente, di riconoscere, coniugare, garantire e articolare il diritto di ciascun individuo di partecipare all’evoluzione del mondo moderno con la propria identità culturale, che non diventi esaltazione dell’ego,rinnegando l’ispirazione universalistica per condurla verso la supremazia culturale che imponga quella cultura sulle altre.

La democrazia non va esportata, secondo una vecchia filosofia delle missioni di pace cui l’Italia ha partecipato. Essa va accettata da chi ne riconosce il valore, che presuppone una missione pedagogica a priori. Non è un crocefisso in una scuola che cambia il mondo, ma la volontà di riunificare ciò che il nostro mondo, globalizzato nell’economia e frammentato nella cultura, tende con sempre maggior forza a separare. Questo ci insegna il crocefisso che portiamo nell’anima della cultura cattolica, ma che viene ripreso da quasi tutti gli insegnamenti religiosi: non è possibile essere al tempo stesso cristiano, ateo, musulmano e buddista, ma niente impedisce di essere nel contempo e nello stesso contesto, imprenditore, scienziato, scrittore, operaio o impiegato oltre che individualmente cristiano o musulmano, ateo oppure buddista e dialogare bene insieme per le condivisioni di principi generali del benessere collettivo, senza limitarci a tollerare, ma a rispettare l’altro per la sua utilità, nel suo contributo di partecipazione alla realizzazionedella crescita e del benessere collettivo.

Solo quando tutti ci renderemo conto che la laicità è un valore e che possiamo tutti lavorare insieme a prescindere che un tizio porti il turbante anziché il cappello con la visiera e i jeans o che la signora indossi giacca e cravatta, anziché il burka. Solo allorquando questi fatti diventeranno indifferenti nella coscienza degli uomini, solo allora si riuscirà ad abbattere le nuove barriere del mondo. Solo allora potremo ritornare a vivereliberi e senza terrore, senza paura della globalizzazione, ma attraverso la vera integrazione delle diversità che apprezzeremo per il loro valore aggiunto della libertà di convivenza. E allora ben vengano le scuole in cui si potrà esporre insieme sia il crocefisso che la mezza luna con la stella o il budda, che possano essere esposti insieme, senza paura di sentirsi offesi, ma con la certezza di convivere in pace e di onorare ognuno il proprio Dio.