Il 15 giugno partirà la raccolta delle firme per indire un referendum abrogativo per la cancellazione Reddito di Cittadinanza. Iniziativa ufficializzata in questi giorni da Matteo Renzi che si scaglia contro la misura a sostegno delle fasce più povere, fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle durante il Governo Giallo-Verde.
Il Reddito di Cittadinanza è una misura che ha sempre fatto discutere sia per come è stata concepita sia per l’effettiva applicazione che in questi anni ha avuto, con frequenti episodi di truffe e abusi che hanno puntualmente riacceso la polemica sul suo permanere in essere, o sulla sua necessaria modifica o, addirittura, cancellazione.
Intendiamoci, misure a sostegno della povertà analoghe ve ne sono in tutta Europa e il RDC non è uno scandalo in sé, visto poi che il momento storico nel quale stiamo vivendo, complice la Pandemia prima e adesso la Guerra, sta funestando le tasche degli italiani e allargando sempre più la fascia di reddito debole o debolissima.
Quando, durante il lockdown le aziende erano chiuse e i lavoratori sul lastrico, contare su una misura di sostegno è stato certamente positivo, ma non dobbiamo confondere uno stato emergenziale con la normalità economica del un paese. E, in uno sforzo di serietà istituzionale, il tema della sostenibilità e della effettiva efficacia della misura non può essere eluso con facili alibi.
Ad esempio, non si può negare l’assenza totale dei controlli che hanno consentito, nei casi più estremi risaltati alle cronache mediatiche, addirittur a boss mafiosi di beneficiare del sostegno in questione; soprattutto non si può negare il fallimento completo della parte normativa in cui era prevista l’offerta di alternative lavorative il cui rifiuto avrebbe comportato la perdita del bonus. Invero, non si è dato luogo ad alcuna riforma dei Centri per l’Impiego, non vi è stata nessuna decadenza dal beneficio perché erano gli stessi uffici pubblici a non riuscire a congiungere domanda e offerta di lavoro nei tempi previsti. A ciò aggiungasi il sostanziale fallimento delle figure dei navigator, ad oggi impiegati altrove. Insomma, se la ratio della misura ha senso, la concreta applicazione della stessa ne ha svelato tutte le lacune e ha finito per renderla quasi un corrispettivo di Stato alla pigrizia, con il nefasto effetto di disincentivare la stessa ricerca di lavoro, soprattutto fra i giovani, più attratti dal lavoro nero per arrotondare quanto percepito dallo Stato.
D’altra parte i disperati appelli di imprenditori e aziende che lamentano l’impossibilità di reperire personale anche con contratti regolari e di un certo livello retributivo vanno proprio nella direzione di imputare al Reddito di Cittadinanza una certa responsabilità, magari non integrale. Chi nega ciò, è fazioso o in malafede.
Quindi, che occorra ripensare l’isitituto di sostegno non è in discussione, anche perché trattasi di spesa pubblica sostanzialmente improduttiva che in questi anni ha portato poco lavoro ed è costata molto all’erario nazionale. Fin quando potremo permetterci di spendere senza averne un ritorno in termini di crescita occupazionale, quindi, medio tempore, un rientro economico?
Francamente, per poco, prima che il sistema collassi. Ma la vera domanda è: come intervenire?
Siamo sicuri che l’abrogazione sic et simpliciter del RDC sia la via migliore? Anche di questo c’è da dubitarne fortemente. Cancellare improvvisamente una misura a sostegno delle fasce più povere senza al contempo aver previsto alcuna strategia di contenimento dell’impoverimento che ne conseguirebbe e le susseguenti tensioni sociali rischia di essere un boomerang i cui effetti sarebbero pure più gravi dell’abuso del RDC. Non si può in nome di un principio, rischiare la guerra fra poveri. Ciò è intollerabile sempre e lo è oggi a maggior ragione.
Occorre procedere a una riflessione pacata, seria e senza slanci propagandistici partendo da un assunto basilare. Senza crescita non c’è futuro economico per il paese. Se l’Italia non sarà in grado di promuovere un piano di investimenti serio e rilanciare così la propria economia, l’avvenire continuerà ad essere grigio se non proprio oscuro.
Se allo slogan “abbiamo abolito la povertà”, imbarazzante spot grillino, si sostituisce una altrettanto campagna propagandistica come intendono fare Renzi (e, verosimilmente Meloni al seguito), non se ne esce, e non si fa certo il bene dell’Italia. Viceversa, occorre coraggio per modificare radicalmente il sistema-lavoro, a partire dal mercato e dall’occupazione giovanile (se ne parlava da queste colonne, giusto ieri) e rilanciare una crescita importante del PIL nazionale sfruttando anche i fondi del PNRR per fare le riforme necessarie, consapevoli che senza produzione di ricchezza non c’è possibilità di redistribuzione o sostegno ai poveri; a meno di non volerlo fare in deficit, ma ben si comprende come, in quel caso, sia la nostra Costituzione sia i vincoli europei sarebbero degli ostacoli insormontabili.