Partiamo da un presupposto: nessuno dotato di un minimo di senno è favorevole alla guerra e al ricorso alle armi. Non a caso, usciti dalla devastazione del secondo conflitto mondiale, i nostri padri costituenti hanno inserito, all’articolo 10, un principio inequivocabile tra quelli fondamentali della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Basterebbe già questa premessa per sostenere come siano fondate e legittime le richieste di piazza che, in queste ore ma a più riprese da una settimana, animano i centri dei principali comuni italiani chiedendo lo stop alla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina.
Però è anche vero che non si può parlare di pace a tutti i costi quando una strapotenza militare occupa con i carri armati e le bombe un paese democratico limitrofo, provocando una carneficina senza senso e lasciando dietro di sé solo distruzione. Il moto di piazza avrebbe un senso se fosse chiaramente accreditato contro Putin e a favore del sostegno del nostro paese, e dell’Occidente, all’Ucraina. Altrimenti questo sbandierato pacificismo ad oltranza non serve ad altro che a fare il gioco di Mosca. I pacivendoli, in tal caso, sono a tutti gli effetti fiancheggiatori e complici del novello zar. Perché sostenere, come ha fatto poco fa dal palco di Roma il segretario della Cgil Maurizio Landini, durante la manifestazione organizzata dal sindacato, che “la soluzione non è l’invio delle armi, rischiamo di non affrontare la gravità della situazione. Dobbiamo impedire che questo determini una terza guerra mondiale o una guerra nucleare”, significa fare un favore al presidente russo. Significa fregarsene del destino della sovranità di uno stato democratico e del sacrosanto diritto di autodeterminazione della sua gente per sottostare agli umori mutevoli di una potenza autarchica limitrofa con deliri espansionistici, il cui presidente non risparmia minacce nucleari anche al resto del pianeta.
Προσκύνησις (proskinesys) la chiamavano i greci: una riverenza e una prostrazione davanti all’aggressore che rappresentano un’esaltazione complice di Putin e la negazione di ogni libertà dell’individuo. Prostituzione intellettuale. Libertà e pace, tanto per essere chiari, sono due concetti legati tra loro ma profondamente differenti. Se i nostri bisnonni e trisnonni non avessero ricacciato indietro gli austriaci invasori a metà ‘800, con ben tre Guerre di Indipendenza, se la meglio gioventù di inizio ‘900 non si fosse fatta massacrare a Caporetto o non avesse coraggiosamente tenuto la linea sul Piave, oggi forse chi va in piazza a inneggiare al mancato intervento militare al fianco dell’Ucraina non avrebbe neanche la libertà di manifestare. Basta ascoltare le parole del presidente ucraino Zelensky per capire la differenza: è chiaro che lui e il suo popolo per primo vogliano che la guerra cessi, ma parla di libertà, non di pace, come ricorda oggi Sofia Ventura. Dice “noi ucraini combatteremo per la libertà”. Perché è la libertà il punto attorno a cui tutto ruota. Landini e altri, tanti altri, vanno in piazza per la pace ma ignorano che il prezzo da pagare per gli ucraini, e in un certo qual modo anche per il mondo occidentale, è la libertà. Eppure è ormai chiaro che gli ucraini non abbiano alcuna alternativa alla resistenza armata.
I generici “basta guerra”, “cessate il fuoco” e “no all’invio di armi”, slogan retorici e ideologici fin troppo semplicisti e abusati per significare davvero una proposta alternativa e concreta, sono un insulto al coraggio straordinario degli ucraini che combattono per la loro libertà. E lo sono anche ai tanti che si sono fatti ammazzare in guerra per costruire il mondo libero che conosciamo, quelli che la pace l’hanno costruita pagandola col sangue. Pertantoq oggi una reazione ferma dell’Occidente davanti all’illusione di Putin di cambiare il corso di una storia che il totalitarismo di cui è espressione ha già sconfitto, deve essere ferma. E deve passare anche dall’invio di armi che possano sostenere gli ucraini in questo epocale passaggio del percorso dell’umanità. Senza, possibilmente, dover subire l’ideologica condanna quotidiana di coloro che sono fuori dalla storia: dei Landini, della Cgil, dei “pacivendoli a prescindere”, degli irresponsabili che riempiono le piazze con le bandiere arcobaleno ma che di fatto sostengono lo zar Putin proponendo di abbandonare l’Ucraina al proprio destino.