Non proprio un’idea geniale quella di porsi come mediatore autonomo, autoeleggendosi paciere della porta accanto senza alcuna investitura. Matteo Salvini stavolta la sua smania filorussa di andare a prostrarsi da Putin a Mosca rischia di pagarla cara. E a chiedere il conto è il suo stesso partito. La Lega, infatti, è in subbuglio. “Ormai Matteo non ne azzecca più una, continuando così, tra gaffe ed errori, rischiamo di andare al 10 per cento e di fare un favore alla Meloni” dicono senza neanche nascondersi alcuni maggiorenti del Carroccio, come riporta Il Messaggero, in piena polemica col Kapitano per quello che si profila chiaramente come un nuovo caso Savoini, il faccendiere del partito e vicinissimo a Salvini.
Stavolta la pietra dello scandalo sarebbe lo spin doctor e organizzatore del viaggio di Salvini a Mosca (al momento accantonato a causa delle polemiche che ne sono conseguite) Antonio Capuano da Fratta Minore, avvocato campano di 51 anni, ex deputato di Forza Italia, che non ha ruoli nella Lega e che è sconosciuto ai più all’interno stesso del Carroccio. Sconosciuto anche e soprattutto a Lorenzo Fontana, vice segretario del partito con delega agli esteri, tra i fedelissimi di Matteo insieme al terzetto Bagnai-Borghi-Rinaldi, con cui Salvini non ha condiviso l’operazione Mosca. “Capuano chi? Sarà l’ennesimo fanfarone di cui ogni tanto Salvini s’innamora e poi se ne dimentica quando s’accorge che non gli serve o che gli fa danno?” si chiedono dalla Lega dopo aver scoperto dell’esistenza di Capuano, che tra le altre cose non si capisce bene a quale titolo si sia speso per la trasferta moscovita di Salvini, visto che lui stesso afferma sulle pagine del Messaggero di non avere “nessuna conoscenza del mondo russo, nemmeno ho mai messo piede in Russia: contatti diretti non ne ho, a parte quelli lavorativi, essendo io un avvocato specializzato nell’assistenza legale alle ambasciate e ai consolati”. Capuano parla di un programma di pace che avrebbe messo a punto per Salvini, che “si basa su una proposta articolata in quattro punti da sottoporre a Putin e Zelensky – spiega -: l’individuazione di una sede neutrale dove far incontrare i due leader; la richiesta del cessate il fuoco, lo sblocco del grano e degli aiuti umanitari; la scelta di tre paesi garanti di fatto come Italia, Francia e Germania e di un garante morale e infine la visita a Mosca preceduta da una tappa ad Ankara”. “Un lavoro certosino che va avanti da mesi – aggiunge Capuano -, non presentato però né all’ambasciata italiana né al governo italiano”. “Il senatore Salvini ha sviluppato negli anni in cui è stato ministro e vicepremier contatti diplomatici di altissimo livello e a quelli ci stiamo rivolgendo per portare avanti una seria proposta politica di pace – afferma ancora sulle colonne de Il Messaggero Antonio Capuano -. Io l’ho conosciuto durante una visita di cortesia di un ambasciatore arabo nei suoi uffici al Senato più o meno un anno e mezzo fa, io ero consulente dell’ambasciata. Sono ancora berlusconiano, fui eletto deputato nel 2001 grazie a Fulvio Martusciello che mi scelse in un collegio in cui non voleva andare nessuno. Al 90% lamia elezione fu solo fortuna perché era il periodo in cui tutti votavano Forza Italia”.
Lo sconcerto della Lega a fronte di queste sconcertanti affermazioni è comprensibile. Così come l’imbarazzo dei colleghi di partito di Salvini, stavolta decisi però a chiedergli il conto. Anche perché non sarebbe stato solo Capuano a occuparsi del viaggio del Kapitano, ma anche Claudio D’Amico, consigliere internazionale di Salvini quando era vice premier di Conte e inserito nel giro di Savoini: nel 2018 D’Amico era, infatti, in viaggio a Mosca con il leader della Lega e il faccendiere. Candidato alle comunali di Sessto San Giovanni come capolista del Corroccio, D’Amico di recente in piazza ha sbandierato il suo filo putinismo in un comizio in cui ha affermato, in relazione all’Ucraina, che “quando c’è una crisi del genere, è come quando una coppia divorzia: la colpa non sta tutta da una parte”.
Il forte legame, ormai palese, tra il salvinismo e il filo putinismo, che però ora rischia di spaccare la Lega, lo ribadisce Sergey Markov, l’ex consigliere di Vladimir Putin dal 2011 al 2018, ex deputato della Duma dal 2007 al 2012 e attuale direttore dell’Istituto di Ricerche politiche a Mosca, intervistato oggi dal Corriere della Sera. Un uomo alle dirette dipendenze di Putin. “Ben venga uno come lui, come Salvini, leader di un partito amico – dice sulle pagine del quotidiano di via Solferino -. Iniziative come quelle di Matteo Salvini servono a trovare una futura via di uscita. L’Europa può rifiutare di ammettere la vera essenza nazista dell’Ucraina, ma almeno potrebbe riconoscere l’esistenza di una minaccia diretta ed evidente allo Stato russo. Ed aiutarci ad eliminarla. La Russia usa la forza militare a causa di questa diretta minaccia mentre l’Unione Europea non desidera riconoscere che l’Ucraina è uno stato terroristico. Bisogna praticare una breccia in questo muro di due concetti così diversi. Salvini può dare un contributo, come Marine Le Pen. Se non ce la fa a convincere l’Italia e l’Europa, con il passare del tempo magari arriveranno attori come Leonardo di Caprio e altri nomi famosi. Perché questo è un problema che riguarda tutti».
Secondo l’ex parlamentare di Putin, Salvini a Mosca dovrebbe incontrare lo stesso zar. “Esiste una possibilità che venga ricevuto da Putin – ammette Markov -. In fondo, è il capo di un partito alleato di quello del presidente, Russia Unita. Più probabile sarebbe un colloquio con Sergey Lavrov. Ancora più probabile, quasi certo, un incontro con lo speaker della Duma. Insomma, contatti a livello parlamentare proprio per via di questa vicinanza. E’ chiaro che qualunque esponente di partito che intraprende un progetto del genere pensa anche e soprattutto al suo capitale politico, alle sue posizioni interne. Come chiedere di un imprenditore che va all’estero per affari se lo fa per avere più soldi. È inevitabile che sia così. Ma certo non è un nostro problema”.
Per gli uomini (e gli elettori) della Lega, tuttavia, il problema c’è ed è anche bello grosso.