Protesta permanente alla Pernigotti: lo specchio di un’economia che ha bisogno di rifome

Continua l’assemblea permanente alla Pernigotti di Novi Ligure, nonostante sia stato convocato per il 30 marzo il secondo tavolo tecnico al Mise.

Lavoratori e sindacati, infatti, non credono al momento alle parole e agli intenti della proprietà, la quale ha assicurato di portare a Roma un rappresentante degli investitori che intenderebbero rilevare una quota di maggioranza e scongiurare, così, la chiusura della fabbrica.

L’elenco di imprese in queste situazione purtroppo è lungo. Occorre arginare un’azione unilaterale fatta da una multinazionale straniera che vuole chiudere in due minuti la storia di un territorio, senza alcuna ragione che sia riconducibile alla competitività se non quella dell’ottenere un maggior profitto. Ancora rischio di perdita di posti di lavoro, ancora il Governo incapace di gestire la situazione ed ancora i sindacati giustamente solamente arroccati nella protesta. Nessuno guarda oltre o cerca di capire realmente cosa sta succedendo.

Solo minacciare e protestare non serve soprattutto se si vuole fare dell’Italia un paese appetibile per gli investimenti stranieri. Al pugno di ferro, la buona politica, attenta e illuminata deve contrapporre il guanto di velluto. Quella delle riforme attinenti la fiscalità e l’economia tutta è una grande sfida a cui l’Italia non può sottrarsi. L’obiettivo non deve essere il breve ma il lungo periodo: uno sviluppo passo dopo passo che parte con l’impegno concreto dell’oggi per costruire un futuro moderno, inclusivo e produttivo. Un’ Italia diversa che, come araba fenice risorge dalle proprie ceneri. Principio ispiratore è quello degli investimenti creando così un circolo virtuoso: attirare attività sul territorio con incentivi fiscali a medio termine creando così un indotto economico, un sistema di crescita e di ricchezza. Con un piano così strutturato anche le imprese straniere potranno optare non solo di fare in Italia investimenti lampo ma anche di stabilirsi e creare un indotto economico rilevante.

Già nel 1987 l’OCSE rilevava che in Italia la pressione fiscale era troppo elevata, che la burocrazia ingessava ogni attività economica, svilendo così l’iniziativa privata: una selva oscura da cui era ed è impossibile uscire. Sono passati oltre trent’anni dal lontano 1987 e, più che miglioramenti tangibili, abbiamo imboccato la via del peggioramento lento, continuo e costante. Negli altri paesi occidentali il comune denominatore è ben diverso: burocrazia semplice, equa tassazione, incentivi ed aiuti alle imprese sia sul mercato nazionale che internazionale, fisco amico, possibilità di interloquire con qualsiasi apparato burocratico della pubblica amministrazione, normative chiare e immediata con propensione a modificare indirizzi e norme a seconda delle nuove situazioni dettate dal mercato.

In Italia non si riesce ad intraprendere un vero e proprio “new deal” riformistico e rivoluzionario dell’apparato amministrativo: o si punta ad essere riferimento anche e soprattutto nelle operazioni economiche internazionali oppure sarà difficile scrollarci di dosso l’attribuito di “ultimi della classe”.
È nella logica imprenditoriale quella di ricercare le migliori condizioni per investire e produrre: è su questo che bisogna puntare per una radicale riforma fiscale, creando le condizioni necessarie per attirare investitori esteri: si pensi ad esempio ad una tassazione differenziata con aliquote più basse rispetto a quella ordinaria. Agli altri investitori stranieri proporre, costruire e strutturare le condizioni ottimali economiche-giuridiche per farli rimanere!

C’è una proposta di riforma dal basso, scritta dai lavoratori per i lavoratori, che nei suoi presupposti risponde a un principio apparentemente elementare eppure non riconosciuto: “Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione”. Si tratta di una proposta di legge che ha l’obiettivo di incidere in maniera decisa contro gli abusi delle aziende e di prevedere strumenti reali e concreti per proteggere i posti di lavoro in un mercato sempre più selvaggio e dominato da multinazionali che negli ultimi mesi hanno abituato a licenziamenti di massa e chiusure di interi stabilimenti produttivi da un giorno all’altro: una norma dalla cui bozza è scomparso ogni richiamo alle sanzioni verso le aziende che non rispettino gli accordi, e che quindi – anche in caso di approvazione – rischia di non servire quasi a nulla.

Ma tutto questo è inutile se non è accompagnato da un cambio di passo strutturale! In Italia non riusciamo ad andare avanti sulle riforme e sulla grande rivoluzione dell’apparato amministrativo: dobbiamo creare le condizioni per essere centrali e punto di riferimento anche nelle operazioni economiche internazionali così come fanno le altre nazioni. Le imprese cercano condizioni ottimali dove poter investire e produrre : incentivi che si possono dare per il fatto di assumere personale locale, per il fatto che si porta nuova tecnologia e know how sul territorio, per il fatto che le vendite poi fatte sul mercato internazionale possono essere tassate in modo diverso e quindi con delle aliquote più basse rispetto all’aliquota ordinaria , per fatto che mi sia concesso di operare anche come un holding di partecipazione a tutte le proprie succursali nel mondo e quindi anche qui con trattamento differente rispetto alla normale tassazione dei dividendi ricevuti da succursali straniere etc etc (qui l’elenco delle possibili azioni di riforma è veramente infinito!).

Ancora: le infrastrutture ed i collegamenti sono fondamentali per la crescita economica ed imprenditoriale di una area geografica. Dal primo gennaio 2018 c’è una legge in vigore in Italia che riguarda la Zona speciale Economica che riguarda tutti i porti del sud d’Italia scritta e realizzata sui modelli delle zone franche di Barcellona, Rotterdam ,Suez etc etc. ma nessuno quasi lo sa e la cosa più grave che nessuno fa niente per portare avanti questi progetti! Un legge fatta e scritta benissimo che però nella realtà non trova applicazione per l’incompetenza e il disinteresse delle parti in gioco: pensiamo all’indotto che si potrebbe creare facendo funzionare a regime una simile iniziativa, che potrebbe anche essere trasferita ad alcune zone industriali del Nord!

Quindi o non riformiamo nulla o se lo facciamo poi non applichiamo le norme!! C’è una NON volontà di portare avanti i grandi cambiamenti strutturali di cui ha bisogno la nostra nazione, ma la NON volontà è sintomo di ignoranza (nel significato prettamente latino della parola cioè di colui che non sa ) e quindi di paura di affrontare il cambiamento.

E’ anche di fondamentale importanza cercare di trattenere nel nostro territorio le imprese italiane e di non farle scappare all’estero e questo lo si fa esattamente come appena sopra spiegato. Un esempio per tutti: il caso FCA che ha traferito la sede da Torino a Londra e ad Amsterdam. Quando finalmente la FCA FIAT è diventata una impresa privata grazie a Marchionne, ha cominciato a studiare ed a verificare dove poteva avere più vantaggi legali-fiscali-economici rispetto all’Italia; fatto il cambio ed il trasferimento della sede, immediatamente tutti in Italia contro Marchionne che era diventato un traditore delle patria etc etc!!! Uno Stato illuminato avrebbe semplicemente cercato di capire perché l’impresa stava trasferendo la sua sede all’ estero per poi semplicemente cercare di ricreare in Italia quelle stesse condizioni (o migliori) economiche-giuridiche che la FIAT FCA aveva trovato all’estero.

Solo il castigo e la minaccia servono a poco ! Governo e imprenditori devono parlare, condividere, creare, incentivare, aiutare… per il futuro il viaggio si deve fare insieme. Stendendo, intanto, un velo pietoso sul momento attuale delle accise: truffe, benzina, gas e l’immobilismo del Governo anche su questo!