Le notizie dal fronte ucraino possono scuotere i vertici di potere russi? “Non immediatamente, ma diluiranno il sostegno verso Vladimir Putin e le autorità”, la replica del sociologo 75enne Lev Gudkov, che ha concesso un’intervista a «La Repubblica». Lo storico direttore dell’istituto di sondaggi indipendente Levada Tsentr si è affrettato poi ad aggiungere: “Dipenderà dallo sfaldamento della censura, dalla ricezione di un quadro più fedele delle operazioni militari e dall’entità delle perdite. Nonché dal successo dell’offensiva ucraina, se continua”.
Il sondaggista Gudkov ha detto: “Il sostegno nei confronti dell’operazione militare speciale è stabile intorno al 74-77%. Aveva raggiunto il suo picco a marzo quando arrivò all’81%. Da allora è nato e continua a esistere quello che si chiama consenso organizzato che si fonda su due pilastri: la censura quasi totale e la propaganda. Sono stati chiusi oltre 220 media, tra cui testate come Novaja Gazeta, Ekho Moskvy e Tv Dozhd, bloccati oltre 3mila siti e i social Facebook e Twitter. Questo ha creato un vuoto informativo. Solo il 7-8% accede a fonti d’informazione alternative: giovani che vivono in città in grado di aggirare i blocchi”.
A proposito della propaganda l’esperto ha detto poi: “Il 24 febbraio sarà stato un evento inaspettato per osservatori internazionali e circoli liberali russi, ma non per la coscienza di massa. La propaganda anti-ucraina era iniziata già nel 2004, dopo la prima Majdan, la Rivoluzione arancione, quando Kiev iniziò ad auspicare l’adesione a Ue e Nato. Da allora, a ogni elezione ucraina, corrispondevano ondate di propaganda anti-Kiev. Ma il salto di qualità si è avuto nel 2013-2014”. Da allora qualcosa è cambiato: “Nel 2013, iniziata la seconda Majdan, il 75% dei russi era contrario a un intervento contro il 22% a favore. Ma nel febbraio 2014, dopo la fuga di Viktor Janukovich, la propaganda ha cambiato drasticamente tono facendo leva su tre tesi. La prima: il golpe promosso dagli Usa a Kiev e i rischi per gli ucraini russofoni. La seconda: l’arrivo al potere dei nazisti. E, infine, la Russia come grande potenza. Adottare il linguaggio della Seconda Guerra Mondiale ha annullato ogni empatia nei confronti degli ucraini perché la lotta al nazismo è uno dei momenti centrali dell’identità russa. Tutto questo ha provocato un’euforia sciovinista che, con l’annessione della Crimea, ha fatto impennare il gradimento di Putin. In quel momento però il cosiddetto progetto Novorossija, il tentativo di annettere il Donbass e muoversi fino a Odessa è fallito. Ma la propaganda si è militarizzata”, ha spiegato Gudkov. “Sono state imposte restrizioni a mass media e ong e l’opposizione è stata soppressa. L’obiettivo era screditare ogni tipo di narrazione differente. Così quando il 24 febbraio è iniziata quella che è stata chiamata ipocritamente “operazione militare speciale”, per la stragrande maggioranza della popolazione si è trattato de la logica fase finale di quello che veniva preparato da anni”, ha aggiunto.
Il sondaggista però non parla di un sostegno incondizionato a Mosca: “È una mancata resistenza. Provare umori contro l’operazione vorrebbe dire entrare in conflitto con lo Stato. Non si tratta di “paura”, come affermano diversi politologi liberali. Il fatto è che la gente si identifica in un modo o nell’altro con lo Stato e non vuole perdere questo legame perché non ha autorità morali alternative dal momento che opposizione e stampa sono state distrutte”. Il protrarsi della guerra sta avendo degli effetti: “Iniziano a crescere i dubbi in merito all’interpretazione ufficiale e alle informazioni trasmesse dalla tv, in particolare sull’autenticità delle notizie su perdite, distruzioni e crimini commessi dall’esercito russo. Più tempo passa, inoltre, più cresce una certa indifferenza o abitudine”. La sorprendente difesa di Kiev potrebbe costringere lo zar a fare un passo indietro e a rinunciare all’ipocrisia della “operazione militare speciale”?
“Nei talk show già da tempo si parla apertamente di ‘guerra’, ma obiettivi e motivi sono cambiati. All’inizio si parlava di denazificazione, dopo di liberazione del Donbass, adesso di una “guerra” non contro l’Ucraina, ma contro l’Occidente. Quest’idea è stata interiorizzata dalla popolazione, soprattutto dopo l’introduzione delle sanzioni. Il 60% adesso dà la colpa non all’Ucraina, ma agli Stati Uniti e alla Nato. Soltanto il 14-17% se la prende con Kiev e l’1-7% con la Russia”. Praticamente “per i russi l’Ucraina è soltanto uno strumento dell’Occidente che vuole distruggere o, quantomeno, indebolire la Russia. Questo ha corroborato anche la tesi di Putin dell’attacco preventivo in risposta all’espansione della Nato”, ha concluso l’esperto.