Il dietrofront degli spiazzati: quando Salvini, Conte e Orsini davano l’Ucraina per finita

Quando si dice “le coincidenze”. Uno scherzo del destino, altrimenti non si spiega. Proprio nel momento in cui le truppe ucraine per la prima volta non si limitano a resistere, ma contrattaccano Mosca, mettendo in fuga i blindati russi, quaggiù in Italia, Matteo Salvini, alla stessa velocità di un falco, indossa l’elmetto e si dice orgoglioso delle armi inviate: «Abbiamo già sostenuto militarmente l’Ucraina e continueremo a farlo». Finalmente sulla stessa linea del presidente del Consiglio Mario Draghi, verrebbe da dire. L’ex numero uno della Bce stamani ha avuto una conversazione telefonica con Zelensky, in cui ha manifestato ancora una volta il pieno supporto del nostro governo alle autorità e alla popolazione ucraine. Non siamo però così sicuri che il segretario del Carroccio si sia lasciato convincere dagli argomenti di Draghi, quanto piuttosto che abbia strizzato l’occhio ancora una volta ai sondaggi e all’aria che tira fuori dal palazzo.

Dirsi contrario al sostegno militare di Kiev in questo momento infatti avrebbe poca presa su un’opinione pubblica entusiasta dei risultati sorprendenti della resistenza ucraina. Il mancato appoggio a Kiev oggi non farebbe altro che alimentare il sospetto che la Lega abbia una «posizione quantomeno ambigua» su Mosca. Per questa ragione Salvini continua ad insistere sul fronte delle sanzioni alla Russia, facendo leva sulle difficoltà economiche con cui stanno facendo i conti gli Italiani: «Noi le approviamo, ma se invece di mettere in ginocchio la Russia mettono in ginocchio gli operai, i pensionati e i lavoratori italiani, allora l’Europa che le vuole, deve anche proteggere gli stipendi e i risparmi degli italiani». Per la serie “tutto da rivedere”. Ma non è soltanto Salvini ad aver compiuto delle giravolte sulla guerra in Ucraina. Spiazzato al pari del leader della Lega per l’andamento del conflitto anche Giuseppe Conte.

In primavera il capo del Movimento 5 Stelle si spese per introdurre la distinzione tra armi offensive e difensive, dicendo: «Non voteremo per l’invio di armi che travalichino il diritto alla legittima difesa». A distanza di poche ore nello stesso giorno, il leader pentastellato ha però prima confermato che bisogna smetterla con gli aiuti militari a Kiev poi si è detto orgoglioso dei risultati raggiunti dall’esercito di Zelensky, intestandosi tra le righe il merito di aver sostenuto la strategia da cui lui stesso dissente. Più contorto di così. Pietro de Leo su «Il Tempo» scrive oggi a tal proposito: “Lo chiameremo «metodo Whitman». Da Walt, poeta americano del XIX secolo, che scrisse: «Mi contraddico? Certo che mi contraddico, contengo moltitudini». E dunque eccola lì, la leadership di Giuseppe Conte, un lungo, splendente, epocale elogio umano della contraddizione elevata a gesto politico, e della disinvoltura a solidissimo scudo. Una ricetta buona da propinare a un’opinione pubblica che molto perdona e condona, perché la politica, rispetto agli anni in cui esistevano le appartenenze, le scuole di partito, i pensieri costruiti, è diventata fluida assai”. 

Aspettiamo ora, come scrive Stefano Cappellini su «Repubblica», le reazioni di tutti coloro che insistevano perché l’Ucraina si arrendesse già a febbraio. Siamo curiosi di sapere, ad esempio, cosa dirà il professor Alessandro Orsini, che in tv ha sempre rimarcato la teoria che «la Russia può sventrare l’Ucraina quando vuole» e che il 7 giugno sul «Fatto Quotidiano» scriveva: «La strategia del governo Draghi è fallita sul campo, è il Lukashenko di Biden». Intanto come nota Maurizio Stefanini su «La Ragione» Orsini ha prima chiuso il suo profilo Twitter, poi lo ha riaperto cancellando tutti i tweet degli ultimi quattro mesi. “La sua ‘redenzione’ social diventa quasi un modello per i russi”, osserva con sottile humour il giornalista. Ignora forse il sociologo che dava l’Ucraina per spacciata che esistono gli screenshot?