“Non vogliamo ricchioni nella nostra famiglia” e giù le botte.
La storia – incredibile ma vera – arriva dalla provincia di Cosenza e ha per protagonista un ragazzino di appena sedici anni vittima di una violenza inenarrabile, tanto da finire in ospedale con costole rotte, il setto nasale deviato, lesioni ovunque.
Uno schiaffo prima, poi un pugno, poi un calcio e un altro ancora. Lo zio picchia duro. Le botte arrivano dritte contro suo nipote, che ha la colpa di essere uscito con una bandiera arcobaleno appesa allo zaino per raggiungere le sue amiche nella Giornata mondiale contro l’omofobia. Ma allo zio non basta. E allora chiama altri tre uomini per aiutarlo a picchiare. Una violenza brutale, quattro adulti contro uno, minorenne. Finiscono il lavoro: lo zio lo prende di peso e lo riaccompagna: “Ora muori a casa”, gli dice.
Il ragazzo arriva in ospedale, partono le denunce alle forze dell’ordine. “Sta meglio, si riprenderà. Moralmente e psicolgicamente non oso immaginare come stia, non lo voglio immaginare”, racconta Silvio Cilento, presidente di Arci Cosenza, che ha riportato la storia di omofobia familiare su Facebook. Una storia in cui, tra le quattro mura di casa, si consumerebbe altra violenza, perché il post su Facebook di Cilento inizia cosi: “Non voglio andare via da casa perché con mamma sto bene, è solo papà il violento. Mamma mi dice sempre: fatti forza e sii coraggioso”.
È proprio quando il ragazzino esce di casa che il papà, si legge nel racconto, avvisa lo zio, suo fratello. Nel tragitto verso l’appuntamento con le amiche il 16enne viene fermato. Lo zio parcheggia l’auto e partono gli insulti e il pestaggio. “Non chiedetemi altro – aggiunge Cilento – per questioni di tutela è necessario assumere un atteggiamento di chiusura e di riservatezza. Ma condivido questo episodio solo per ricordarvi quanto è necessario e importante parlare di violenza di genere, di questioni Lgbt, di identità di genere e di orientamenti sessuali”.