Perché, oggi più che mai, dobbiamo essere europeisti

Prima che arrivasse al governo Mario Draghi l’Italia era come pervasa da una sorta di schizofrenia rispetto alla sua collocazione in Europa. Malumori e titubanze che in campagna elettorale son tornati prepotentemente a farsi sentire. Anche oggi ci sono infatti quelli che ritengono che il nostro Paese ci “perda” a stare nell’Unione Europea, che la nostra sia una nazione “adulta” capace di sganciarsi dall’Ue e pronta a badare a sé stessa. Come convincere gli euroscettici e i sovranisti che da soli non si va da nessuna parte? In che maniera far capire a quelli che guardano con favore alle autocrazie che la via europea ha invece un inestimabile valore per noi? Dobbiamo fare prima un passo indietro e chiederci: ma perché il nostro Paese aderì al Trattato di Roma nel 1957? Beh, si deve ad una felice intuizione di De Gasperi. Per rendere l’Italia più solida, competitiva e moderna si aveva la necessità di quella che Maurizio Ferrera oggi sul «Corriere della Sera» chiama «una robusta àncora esterna». Anche allora vi erano forze politiche che mettevano in discussione la democrazia, la collocazione occidentale, l’economia stessa, ma De Gasperi, consapevole che altri stati fossero più avanzati di noi, insistette.

“La scelta europea costrinse nel tempo i vari governi a un doppio gioco di equilibrismo. A Bruxelles si trattava di promuovere quella ‘unione sempre più stretta’ auspicata dai Trattati. Facendo però in modo che non diventasse troppo stretta, altrimenti l’Italia non sarebbe riuscita a tenere il passo. A Roma, invece, bisognava spingere un recalcitrante sistema dei partiti e una società corporativa ad accettare incisive riforme in ogni settore: la politica monetaria, quella fiscale, il mercato del lavoro, le pensioni e così via. Sappiamo che non è stata una passeggiata facile: nell’ultimo ventennio, per restare in Europa tutta la società ha dovuto fare grandi sacrifici”, spiega sempre Ferrera. Ne è valsa la pena? La risposta è sì. E non è stato facile appunto crescere nell’Ue. Possiamo prendere il periodo più duro per l’economia mondiale: la crisi dell’euro. “Monti dovette fare i salti mortali per salvaguardare l’àncora europea quando i mercati si scatenarono contro il debito italiano. Soltanto varo di incisive riforme interne, appoggiate da una larga maggioranza parlamentare, consentì di preparare il terreno al famoso «whatever it takes» di Mario Draghi, ottenendo l’assenso preventivo di Angela Merkel”, ricorda il giornalista. Anni dolorosi che imprese e famiglie ricordano.

Oggi la situazione è diversa: l’impatto drammatico dell’emergenza Covid ha cambiato il quadro e siamo entrati in una congiuntura per noi particolarmente favorevole. L’Italia ha ottenuto circa 200 miliardi di euro, incluso un maxi-bonus di sovvenzioni a fondo perduto. Stavolta la Ue non ci ha chiesto di fare sacrifici, ci ha lasciato però un vincolo: spendere rispettando gli obiettivi e le scadenze del Pnrr. Un impegno che il premier Draghi, convinto europeista, ha onorato per tutto il tempo del suo mandato. L’ex numero uno della Bce non si è comportato da funambolo, ma ha speso al meglio la sua credibilità guadagnata negli anni. Tutto per l’interesse dell’Italia, perché quest’ultima tornasse a crescere, a farsi sentire negli ambienti che contano. “L’aiuto nei momenti di emergenza deve diventare una vera e propria «polizza assicurativa» su cui si possa contare in modo stabile e predefinito. Occorre muovere, in altre parole, verso un assetto di tipo federale”, scrive Ferrera. Come fare? In primo luogo occorre rispettare il Pnrr. Senza tutto questo saremmo condannati ad essere sempre guardati come partner inaffidabili. Un pericolo che l’Italia non può correre soprattutto in un contesto internazionale sempre più insidioso.