L’Europa? Per averne una forte, nuova, politica e non solo economica, insomma per darle una identità, bisogna prima fare gli europei. Ora o mai più, come ha scritto oggi Andrea Cangini su Il Giornale. “La ragione principale per cui il progetto europeo procede a rilento è che il passaggio dall’Unione economica a quella politica richiede un sentimento. Quel sentimento di cittadinanza comune che con tutta evidenza non si è ancora fatto largo tra le nazioni degli Stati membri. L’Europa è un frutto della ragione, un calcolo, un concetto. Vive nella testa di molti, ma non scalda il cuore di nessuno. Non suscita emozioni, non costituisce un’identità, non determina un’appartenenza. Un’Europa tutta testa e niente sentimento. E questo è un problema, dal momento che motore della Storia e della Politica sono i sentimenti ben più della ragione. Senza un sentimento di appartenenza, dunque, non è ragionevole ritenere che gli Stati membri possano delegare all’Unione europea quella sostanza politica che rappresenta il presupposto di una politica estera e di difesa comuni”.
Un ragionamento da sottoscrivere parola per parola. Non può esserci una identità comune europea se il problema resta solo quello delle dimensioni delle lampadine a led. Certo, l’economia muove il mondo. E muove l’Europa. Tra guerre e pandemie, l’approccio della Ue è profondamente cambiato. Dai vincoli e parametri da rispettare più o meno con flessibilità, ma sempre con ‘rigore’, l’Europa ha fatto uno scatto in avanti, con i mega prestiti e gli stanziamenti a fondo perduto che servono e serviranno a superare la crisi pandemica. Ma questo ancora non basta. La fiducia verso la Ue dei cittadini dei Paesi membri è aumentata ma spesso è sui conflitti, sulle guerre che quel sentimento comune diventa una vera identità condivisa. Insomma, l’aspetto paradossale della invasione russa in Ucraina non è solo quello di aver spinto tanti paesi ad avvicinarsi alla Nato. Bensì potrebbe essere quello di aver fatto, diciamo così, gli europei. Come ripete da un mese e mezzo Zelensky, in Ucraina stiamo difendendo l’Europa. Difendendola da un nemico.
“Difficile maturare il senso del ‘noi’ senza identificare ‘l’altro’,” scrive Cangini citando Carl Schmitt. “Dal 24 febbraio noi europei abbiamo un nemico. Un nemico che rappresenta una minaccia fisica, addirittura. Una minaccia nucleare. Lo spettro della guerra e l’irruzione in scena della violenza agitano i nostri sentimenti e ci inducono a riconoscere e a difendere i nostri confini. Sia quelli territoriali, sia quelli morali. A difendere le terre europee e i principi di libertà e democrazia che ne ispirano le leggi”. Andrà a finire così? Sui libri di storia tra 10 anni leggeremo che fu l’avventurismo assassino di Putin a permettere alla Europa di diventare una federazione politica e non solo economica? Il compito è nelle mani delle classi dirigenti, dei leader europei che, come sta già avvenendo, debbono indicare la strada e far capire ai popoli del Vecchio continente dov’è il nemico, perché è giusto contrastarlo e che la posta in gioco è la nostra vita, la nostra libertà. “Avremo, allora, ‘fatto gli europei’: condizione essenziale per poter fare davvero l’Europa”.