Prendiamo ad esempio le posizioni del Consigliere del CSM Nino Di Matteo e del senatore Matteo Renzi sulla riforma Cartabia. Si tratta di personaggi che esprimono mondi lontani anni luce, destinati a non incontrarsi mai, eppure ambedue convergono sulla sostanziale inutilità di buona parte della riforma (invero giudicata dal magistrato anche pericolosa) incapace di risolvere i reali problemi della giustizia italiana della giurisdizione.
Ma allora, se la riforma è una miniriforma destinata a lasciar quasi tutto com’è, perche’ l’ANM sta preparando uno sciopero generale delle toghe? Se, per dirla con Sabino Cassese, la riforma del CSM è una vittoria parziale che non incide sul correntsimo in magistratura, perché l’ANM sta preparando uno sciopero generale? Se il sistema delle cosiddette porte girevoli è stato limitato solo per i magistrati eletti con i partiti politici ma è rimasto praticamente inalterato per quelli in posizione apicale al Ministero di Giustizia (con buona pace dell’art.110 Cost) o a capo dei Dipartimenti Legislativi, perché l’ANM sta preparando lo sciopero generale? Se la riforma Cartabia non ha avuto il coraggio di spingersi fino in fondo nella separazione totale delle carriere fra PM e Giudice, ancora, perché l’ANM vuole indire lo sciopero generale?
Davvero dobbiamo credere che il pomo della discordia sia il fascicolo-performance? Non vogliamo crederlo, anche perché di fronte a sentenze che per il 70-80% vengono ribaltate nei gradi successivi di giudizio, negare che esista un problema di qualità della giursdizionr è semplicemente miope. Insomma, in fondo ha ragione Michele Vietti quando dice che la Riforma è come l’isola che non c’è di Peter Pan. Ciononostante, si invocano le barricate al grido di “ce lo chiede la base”(sic), come se l’ANM fosse un sindacato qualsiasi e non l’ organismo di rappresentanza di un potere dello Stato.
Allora forse ha ragione anche Luciano Violante quando parla di sciopero politico “interno” per compattare la base in vista delle elezioni del CSM del prossimo luglio e di un corporativismo refrattario a ogni modifica e chiuso nella sua autorferenzialità. Ma in tal caso saremmo di fronte a qualcosa di veramente incomprensibile e di vagamente inquietante; si tratterebbe di uno sciopero a fini interni ma esplicitamente promosso contro Governo e Parlamento per promuovere una irriducibile unità come ai tempi dell’antiberlusconiano “resistere, resistere, resistere”. Insomma sarebbe la rappresentazione plastica dell’autopercezione della magistratura italiana come Stato nello Stato, completamente allergico a ogni forma di ingerenza e di responsabilità verso gli altri poteri, che – giusto per ricordarlo – sono espressione della sovranità popolare. Tesi non inverosimile peraltro, se si considera che negli ultimi decenni l’ANM (e con essa, il CSM) ha sempre fatto muro innanzi a qualsiasi ipotesi di riforma della magistratura, dalla Castelli (ancor più blanda di questa) in poi.
E, oggi, dopo anni di speranze tradite e tentativi naufragati, ancora una volta ci troviamo di fronte all’ennesimo annunciato sciopero. Martedì 19 aprile in simbolica concomitanza con l’approdo in aula del testo Cartabia si terrà una conferenza stampa in cui il sindacato delle toghe ufficializzera’ uno sciopero già dato per certo per bocca del suo presidente Santalucia.
Cui prodest? Val davvero la pena disorientare ancor di più i cittadini la cui fiducia nella magistratura è già ai minimi storici?
Val la pena opporsi in modo palesemente corporativo a un tentativo di avere una giustizia (leggermente, senza esagerare) più giusta?