Un paese che si indigna davanti alla tragica scomparsa di una donna dimostra di possedere efficaci meccanismi di difesa per evitare l’indifferenza di fronte a un termine ormai tristemente radicato nel nostro linguaggio quotidiano: femminicidio. La storia di Giulia Cecchettin ha generato una richiesta di maggiore attenzione verso le donne e di intransigenza nei confronti di chi commette reati contro di loro, delineando così una società dotata di robusti anticorpi contro la cultura dell’indifferenza, della minimizzazione e dell’indolenza. Tuttavia, per affrontare in modo completo un tema così importante e delicato, è necessario avere il coraggio di guardare alla realtà senza lasciarsi influenzare solo dalla percezione.
L’ardente desiderio di affrontare radicalmente il problema richiede la forza e il coraggio di vedere la realtà per quello che è, non per quello che sembra. Guardando attentamente l’Italia “della realtà”, emerge chiaramente che la sensibilità straordinaria dell’opinione pubblica italiana nei confronti del femminicidio è correlata a una caratteristica spesso trascurata del paese: la capacità di essere all’avanguardia nella lotta contro gli omicidi delle donne. Il popolo italiano, ma anche la sua classe politica, sono estremamente sensibile su questi temi, non perché tutti abbiano qualcosa da redimere, ma perché comprendono l’importanza di sensibilizzare l’opinione pubblica come modo efficace per affermare un deciso “mai più”.
È vero che in queste circostanze alcuni cercano di sfruttare emotivamente la situazione per sostenere le proprie posizioni politiche: la destra accusa la sinistra di speculare sulle vittime, mentre la sinistra cerca di dimostrare che la vittima è vittima per colpa di un clima creato dalla destra. Dinamiche ridicole. La vera questione è che contestualizzare i femminicidi non significa minimizzare, ma ricordare un fatto che dovrebbe essere evidente a tutti: il modello di libertà occidentale ed europeo rappresenta il massimo nel garantire i diritti delle donne.
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Un anno fa, l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) ha fornito dati per contestualizzare il fenomeno. Pur riconoscendo che il femminicidio è un problema globale, l’Unodc ammette che non è un’emergenza europea né italiana. Nel 2021, sono state uccise 81,100 persone, donne e ragazze, con un numero di omicidi sostanzialmente invariato negli ultimi dieci anni. L’Europa, tuttavia, è uno dei pochi continenti che ha gestito e governato il problema in questi anni, registrando una riduzione media del 19% nel numero di omicidi femminili legati a partner/famigliari tra il 2010 e il 2021. Il tasso di omicidi femminili legati al partner o alla famiglia è dello 0,6 ogni 100,000 abitanti in Europa, contro il 2,5 in Africa, l’1,4 in America, l’1,2 in Oceania e lo 0,8 in Asia. In Italia, questo tasso è dello 0,38, il secondo più basso dopo il Lussemburgo (0,32), posizionando l’Occidente come un leader in questo ambito, certo con dati da migliorare ulteriormente.
Mentre l’Occidente, con i suoi difetti, deve cercare il costante miglioramento, è fondamentale evitare l’autodenigrazione costante. Invece di concentrarsi sulla percezione, occorre guardare alla realtà. Per affermare con forza “mai più”, la società deve partire da queste premesse solide e continuare a migliorare, non solo per se stessa ma anche per essere un esempio che può essere esportato anche in paesi in cui la violenza sulle donne è istituzionalizzata.