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No to war: quando il pacifismo fa il gioco di Putin

No to war, è lo slogan che rimbalza ovunque in questi giorni. Sovrasta negli striscioni di tanti manifestanti che continuano a scendere in piazza nelle maggiori città europee per condannare la guerra scellerata di Putin. Ma cosa significa veramente?

La risposta si trova frequentando quelle stesse piazze, iniziando da quelle italiane. Nel nostro paese infatti le bandiere della pace si sono sempre associate a un preciso pensiero politico, nato e cresciuto tra le fila della sinistra radicale e il movimento anarchico. E non ci si deve sorprendere se nelle grande manifestazioni di questi giorni i nemici sono in realtà due: Putin e la NATO, variamente declinabili in Putin e Stati Uniti, Putin e Occidente, Putin e Israele, e così via.

La posizione di cui sopra può essere riassunta in questi termini: gli Stati Uniti hanno scatenato guerre in giro per il mondo (vedi Iraq e Afghanistan) e non hanno alcun pulpito da cui condannare le azioni di Putin. E’ un cliché ideologico che porta inevitabilmente a concepire un’equazione strampalata tra l’aggressione ucraina e la politica estera delle maggiori democrazie occidentali, sulla base dell’assunto che in ambo i casi si tratta di imperialismo. Insomma un po’ come il vecchio “né con lo Stato né con le BR”.

Non è un caso che questa visione si accompagni a ulteriori considerazioni che non fanno altro che legittimare o comunque mitigare l’invasione di un paese sovrano e indipendente come l’Ucraina. C’è chi colpevolizza le presunte mancanze dell’Ucraina nel rispettare gli accordi di Minsk (chiudendo gli occhi di fronte alle violazioni delle stesse da parte della Russia e delle sue due “repubbliche”) e chi invece, direttamente dal copione di Putin, ingigantisce il ruolo delle milizie di estrema destra in Ucraina, dimenticandosi che in Russia il nazionalismo estremo è direttamente al potere.

Infine ci sono coloro che ci tengono a fare notare che per le altre guerre passate e ancora in corso in ogni parte del mondo, non vi era stata la stessa mobilitazione internazionale. Argomento, quest’ultimo, particolarmente debole, se non altro per la sua soluzione meramente geografica, e francamente illogico, se portato fino a in fondo (come se gli ucraini non meritassero solidarietà e aiuti perché sarebbe scorretto nei confronti di tutti gli altri popoli variamente oppressi).

E’un modo di ragionare estremamente semplicistico che l’autrice siriano-britannica Leila Al-Shami ha decostruito nel suo saggio “l’anti-imperialismo degli idioti”. In esso, la scrittrice dimostra come dietro alle posizioni dichiaratamente pacifiste emerse dopo il 2013 (quando l’allora presidente Obama aveva considerato un intervento americano in Siria, in risposta all’uso di armi chimiche da parte di Assad), si celasse un forte connotato ideologico.

Il vero scopo di chi vedeva con il fumo negli occhi l’intervento americano non era quello, pur dichiarato, di porre fine alle ostilità, ma solo quello di evitare un’interferenza dell’Occidente (giustificando o ignorando l’intervento in Siria di Russia e Iran). Il vero nemico era da cercare a casa propria, nella leadership guerrafondaia americana, e nulla da dire sul regime di Assad.

Un’idea di come questa ambiguità di fondo impatti il popolo ucraino si ritrova tra le righe di Taras Bilous, attivista ucraina, che con un appello sulla rivista socialista Dissent esprime tutta la sua preoccupazione per quella parte della sinistra che utilizza l’invasione dell’Ucraina per riprendere la solita polemica anti-americana, finendo per fare il gioco della propaganda russa.

E particolarmente azzeccata è la sua osservazione che l’intervento americano in Iraq e Afghanistan può anche avere una sua importanza nel contesto della guerra in Ucraina, ma solo per sostenere che nel 2003 la comunità internazionale avrebbe dovuto mettere maggior pressione agli Stati Uniti, non certo che quella attuale sulla Russia sia eccessiva.

Sbaglia chi pensa che questo atteggiamento di equidistanza sia da ricercare solo a sinistra. Tanti sono i leader politici di tutti gli schieramenti (uno fra tutti Salvini) che continuano a fare appelli per una generica “pace”. E’ una formula vuota, che non distingue tra aggressori e vittime, affine alla dichiarata neutralità cinese, che invitando tutte le parti in conflitto a una de-escalation, si risolve in un sostegno a Putin.

Uno spunto ce lo offre il mondo del calcio. Come fa notare Francesco Olivo de la Stampa oggi, durante le partite di Liga appare in sovraimpressione la scritta “Stop invasion”, non “Stop war” come in Serie A. Certo non ha che un significato simbolico, ma almeno si usino le parole giuste.

(Luca Mansi)