Avrebbe potuto e avrebbe dovuto presentarsi al cospetto dell’Europa, per la prima volta da presidente del Consiglio, con indosso un abito meno identitario e sovranista. Ma le prime mosse del governo guidato da Giorgia Meloni – oggi a Bruxelles per incontrare il commissario UE all’Economia Paolo Gentiloni, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, e il presidente del Consiglio Charles Michel – non hanno fatto che mostrare la vera natura della sua litigiosa e instabile maggioranza, tra decreti da stato di polizia spacciati per forme di contrasto all’emergenza rave, che non esiste, e amnistie ai no vax.
Il vero aspetto che può far tremare i polsi, come ricorda oggi sul Corriere della Sera Massimo Franco, è tuttavia un altro. Ed è legato alla natura del partito della Meloni e di quelli della sua maggioranza, specie la Lega. L’aspetto preoccupante riguarda la capacità della leader sovranista di tenere fede ai patti che chi l’ha preceduta ha preso con l’Europa, di percorrere una strada irta di ostacoli di fatto già segnata, da cui tornare indietro potrebbe significare grossi guai per l’Italia. La Giorgia che urlava contro l’Europa, che conduceva la sua guerra contro i “poteri forti” della Trojka, oggi sarà in grado di completare il percorso di riforme e controllo dei conti iniziato da Mario Draghi, per assicurare un futuro stabile all’Italia? O cadrà nel vizio atavico delle battaglie identitarie portate avanti una volta da lei stessa e una volta dai componenti della sua maggioranza, discostandosi dall’Agenda Draghi? Il consenso ottenuto il 25 settembre, in questo secondo caso, non le basterà come garanzia da presentare in Europa. Riuscirà, Meloni, ad andare oltre il suo estremismo populista e sovranista per il bene del Paese?