Putin

Martynov: “Putin vuole distruggerci ma il tetto al prezzo del gas segnerà una svolta”

La guerra di Putin non è affatto finita e, sebbene le luci dei riflettori si siano un tantino sbiadite, l’Ucraina è ancora sotto assedio e in Russia vige la censura. Nulla è cambiato.
“Putin vuole zittirci per sempre e distruggerci”. A dirlo è uno sconcertato ma non sorpreso Kirill Martynov, vice del Nobel Dmitry Muratov alla direzione di Novaya Gazeta, il giornale dove scriveva Anna Politkovskaya, che dal 1993 ha raccontato le guerre cecene, la corruzione, le violazioni dei diritti umani.

Martynov, 41 anni, risponde al Corriere della Sera da Riga, in Lettonia, dove si è rifugiato la primavera scorsa per cercare di garantire un futuro alla sua testata e anche alla Libera Università di Mosca, che lui – ex professore di filosofia – ha contribuito a fondare. Da qui dirige l’edizione europea del giornale, Novaya Gazeta Europe: nata lo scorso maggio e subito bloccata in Russia, continua a portare avanti un giornalismo indipendente, con 50 giornalisti, aggirando la censura di Mosca.

“A fine marzo, dopo l’invasione dell’Ucraina, avevamo deciso di sospendere le pubblicazioni per motivi di sicurezza – spiega – ma anche per assicurarci la possibilità di riprenderle in futuro. Abbiamo ancora degli uffici a Mosca e dei colleghi pronti a tornare al lavoro, ma ora la revoca della licenza colpisce a morte il nostro giornale”.

Martynov, sempre al Corriere, spiega che i russi sono stanchi della guerra. “L’ultimo sondaggio del primo settembre mostra che una fetta crescente di popolazione è stufa della guerra. Ora il 52% vorrebbe la pace e i favorevoli all’azione militare sono diventati la minoranza, per quanto ancora nutrita, il 48%. Una tendenza importante e al tempo stesso un segnale che comunque la propaganda del Cremlino funziona ancora bene: del resto con i media indipendenti imbavagliati, la gente guarda la tv di stato. Il vero problema è che i russi vogliono credere alla propaganda. Se la metti in dubbio la tua vita è distrutta, tutto il tuo mondo si sgretola”.

Eppure anche i russi hanno perso lo stile di vita prima della guerra, perché le sanzioni stanno incidendo eccome. “Non si possono più permettere di viaggiare all’estero, di comprare abiti da H&M, di fare transazioni dai propri conti correnti in dollari o in euro. Cresce l’insofferenza, vogliamo tornare a vivere come prima, dicono”. Per Martynov il tetto al prezzo del petrolio deciso dal G7 potrebbe segnare una svolta. “Se l’Europa resisterà a un duro inverno, Putin si ritroverà davanti a un altro errore di calcolo come quello che gli faceva pensare di poter conquistare Kiev in pochi giorni. L’esito del conflitto dipende anche dalla linea del fronte: se la controffensiva ucraina proseguirà a lungo, diventerà più difficile per la propaganda russa giustificare questa guerra”.

Martynov si dice preoccupato per Navalny che “è dentro a una macchina carceraria infernale, anche se lui si mostra forte viene torturato continuamente. Ma credo che abbiamo bisogno di lui vivo, per uno scambio di prigionieri. Almeno lo spero”, dice.

Un’ultima battuta al Corriere sul fondatore del suo giornale, Michail Gorbaciov. “Gorbaciov non è stato un leader popolare in Russia, eppure un fiume di gente si è radunato nel centro di Mosca per dargli l’ultimo saluto. Non si vedevano così tante persone riunite da mesi: è stata una manifestazione politica. Certo resta l’azione di una minoranza, ma è comunque un gesto importante da parte di chi capisce la distinzione tra Gorbaciov, l’uomo della “perestroika” e Putin, l’uomo della “distroika”, l’uomo che ha distrutto l’eredità di Gorbaciov. Ancora oggi la maggior parte dei russi non ama Gorbaciov perché è un politico insolito in una società in cui l’ideale di uomo politico è rappresentato da Stalin. Gorbaciov è considerato un leader debole, mentre si crede che per guidare un Paese così ci voglia un leader forte a cui delegare pressoché tutto. E’ la malattia della Russia: la maggior parte della gente non vuole prendersi responsabilità, ha una concezione quasi mistica del potere, come qualcosa di lontano, distante, di cui aver paura”.