Su “Il Dubbio” Gennaro Grimolizzi racconta gli ultimi sviluppi della storia della giornalista che si è opposta alla propaganda di Putin. Marina Ovsyannikova, consapevole dei rischi che corre nella Russia dello zar, dove è vietato parlare di guerra e criticare il leader del Cremlino, archiviata la collaborazione con il giornale tedesco Die Welt, comparirà in Tribunale a Mosca per difendere il suo diritto di madre. L’ex marito, un noto giornalista di RT, legato a Putin e agli oligarchi, vuole prendersi cura esclusivamente dei figli di 17 e 11 anni. Lei si oppone: con il suo avvocato è al lavoro per trovare una soluzione; non intende rinunciare alla sfera genitoriale.
Negli ultimi mesi Ovsyannikova ha realizzato reportage in Moldavia, Ucraina, Lituania, avendo come base Berlino. A maggio le è stato consegnato ad Oslo il Premio Vaclav Havel per il dissenso manifestato dopo la decisione della Russia di invadere l’Ucraina, il Paese in cui è nata nel 1978. Ora è tornata in patria per recarsi in tribunale. Ovvio che abbia paura, ma non molla. Marina Ovsyannikova ha contestato la guerra in Ucraina a marzo scorso, lo ha fatto durante l’edizione serale del telegiornale, esponendo alle spalle della conduttrice un cartello con la scritta: “No alla guerra, fermate la guerra. Non credete alla propaganda, vi stanno mentendo”. Per quel gesto ha trascorso una notte in un commissariato di polizia ed è stata multata. Del processo riguardante la protesta del 14 marzo non si conosco troppi particolari, difficile capire come andrà. Quello che conta adesso è evitare che il marito le porti via i figli.
In un post sulla sua pagina Facebook lei ha manifestato i suoi timori, è spaventata all’idea di essere tornata nel suo Paese, “un luogo dove tutto è impregnato di odio e di simbolismo militarista”. La giornalista spera solo di tornare a vivere con la figlia undicenne lontano da Mosca: “Mio figlio è ormai maggiorenne e ha il diritto di determinare il proprio destino. Ma mia figlia di 11 anni deve vivere con me fuori dallo Stato aggressore. Solo fuori dalla Russia in guerra potrò trasferirle corretti valori morali. Deve crescere in una società occidentale libera, dove ogni vita umana non ha prezzo. Dove ai bambini si insegnano cose buone invece di provocarli ad odiare le persone di altre nazionalità, costringendoli a marciare in uniformi militari, disegnare la svastica sotto forma di lettera Z e lodare la guerra. Per milioni di famiglie questa guerra è diventata una vera tragedia. Putin e il suo esercito hanno portato dolore e sofferenza in ogni casa da entrambi i lati del confine. La nostra società è sprofondata in un abisso di odio, aggressività e caos. Per quale idea nazionale stanno combattendo i soldati russi? Perché hanno occupato la terra straniera?”.
La giornalista spera che l’Europa la accolga come una cittadina richiedente protezione. Al suo caso sembra che si stia interessando fortemente la Gran Bretagna. “Qualunque cosa accada, non mi tirerò indietro per le parole che ho detto. Nessuna forza può compromettere la mia coscienza. Chiamerò sempre la guerra con il suo nome. E quelli che hanno scatenato questo sanguinoso massacro sono dei criminali, che alla fine finiranno sul banco degli imputati del Tribunale internazionale”, le sue toccanti parole.