“Una quarta fila dell’establishment italiano che non si è ancora reso conto di cosa ha innescato”. Oggi su Repubblica a Giuseppe Conte, leader del M5S che ha innescato la crisi di governo – per la contrarietà al termovalorizzatore di una Roma sotto assedio dell’immondizia e delle mafie dei rifiuti che l’hanno messa a fuoco e fiamme, ma anche per la presunzione di andare a votare per far eleggere se stesso e parlamentari da lui più direttamente governabili – lo descrivono così. Un po’ sprovveduto, un po’ “eroe” (senza aver nulla di eroico, in realtà, tragico (in Germania Suddeutsche Zeitung lo ha dipinto come un “personaggio tragico nel dramma estivo italiano”), vittima di se stesso e della propria miopia politica.
Mario Draghi di Conte e di gente dello stesso calibro dell’avvocato del popolo non ne può più. E ha ragione: la tentazione di mandarli tutti a f…….. è forte, se di mezzo non ci fosse l’Italia, un Paese in difficoltà che abbandonare al voto significherebbe consegnare direttamente nelle mani dell’estremismo populista. Il quale ha cominciato a scaldare i motori: Giorgia Meloni chiede elezioni anticipate, e sta cercando di portarsi dietro quel che resta del centrodestra. FI e Lega, infatti, hanno chiarito che non intendono più stare al governo coi 5 stelle – qualora Draghi fosse così gentile da sobbarcarsi il peso di un bis -, neanche con quella parte che non risponde a Conte e non vuole far cadere il governo (a questo campo largo 4.0 starebbe invece lavorando Letta).
Neanche a fronte di una sfiducia plateale a Conte piuttosto che a Supermario la situazione sembra pertanto essere ricomponibile. Mala tempora currunt.