Magistrati e politici contro la Riforma Cartabia: Draghi pone la fiducia?

Non si placano le proteste dei magistrati italiani a fronte della tortuosa riforma Cartabia, attualmente in votazione in Commissione Giustizia e di prossimo approdo in aula. Mentre la politica cerca una difficile sintesi fra posizioni spesso antitetiche, le toghe si mobilitano da nord a sud. Da Busto Arsizio a Nola, passando per Roma, Milano e Catanzaro, fioccano i documenti dei singoli distretti contro le ipotesi di riforma del sistema giustizia. Come tengono a precisare gli stessi protagonisti, non si tratta di proteste di corrente, ma di singoli magistrati uniti agli altri singolarmente e non si contesta un punto particolare dell’impianto Cartabia, ma sostanzialmente tutti per evitare, nell’ottica dei giudici, una deriva verticistica e aziendalistica del potere giudiziario.

Già sul fascicolo-performance era intervenuto ieri il segretario di Magistratura Democratica, Francesco Musolino, che, in una intervista su “Il Dubbio” metteva in luce i rischi di una novella normativa che avrebbe indotto il magistrato a prediligere la carriera, preferendo uniformare le proprie decisioni alla giurisprudenza consolidata piuttosto che privilegiare una interpretazione dinamica della legge nel tempo. E di tale preoccupazione si fanno interpreti tanti colleghi che, appunto, denunciano una (presunta) involuzione della magistratura verso un ruolo meramente carrieristico a scapito della giurisdizione.

Nonostante, tuttavia, la protesta paia effettivamente organizzata singolarmente per distretto, l’ANM non rinuncia a rilanciarla fino a ipotizzare una riunione “plenum” che però potrebbe giungere dopo l’approdo in aula del testo, previsto per il 19 Aprile, di fatto rendendo l’assemblea sostanzialmente inutile.

Mentre la magistratura appare compatta come un sol uomo nel contestare i nodi della Riforma Cartabia, la politica, tanto per cambiare, vacilla e si divide. Se il Ministro della Giustizia era giunto a evocare il fantasma della fiducia parlamentare sul testo, Mario Draghi, in conferenza stampa, cerca di stemperare, ribadendo da un lato il suo impegno a non porre la questione di fiducia, ma dall’altro spronando i partiti a trovare una sintesi. Tuttavia, se ciò non dovesse essere, lascia intendere il Presidente del Consiglio, quella promessa potrebbe essere disattesa.

D’altra parte, come da queste pagine davamo conto proprio ieri, trovare una sintesi fra le forze di maggioranza non è operazione semplice tenuto conto della distanza delle posizioni talvolta diametralmente opposte. Serpeggia un certo pessimismo come testimonia il presidente della Commissione Giustizia Mario Perantoni che parla espressamente di un “equilibrio fragilissimo” e di “posizioni agli antipodi”. Da una parte il blocco Forza Italia- Lega e Italia Viva che insistono su una regolamentazione degli aspetti più rilevanti dell’organizzazione del potere giudiziario, dall’altra il blocco Movimento 5 Stelle-PD che fanno opposizione. Ed è proprio dalla tenacia della componente di centrodestra (più Italia Viva e Azione) che vengono le preoccupazioni dei magistrati in rivolta. Proprio cioè, sui punti cardine della riforma: separazione delle funzioni, responsabilità civile diretta, fascicolo meritocratico e sorteggio nel sistema elettorale per il CSM. Certamente, si può discutere tutto e tutto è migliorabile, ma vi è la netta sensazione che, ove passasse la riforma, saremmo di fronte a un tentativo di rendere il sistema giustizia più trasparente e più ancorato a regole certe, come fa notare il deputato di Azione Enrico Costa. In fondo non stupisce che tutto ciò susciti una sorta di controrivoluzione di stampo tendenzialmente “conservatrice” che trova sponda in chi, in Parlamento, negli ultimi decenni si è legato mani e piedi al mondo delle toghe. Ma occorre sottolineare ancora una volta l’attuale inadeguatezza del legislatore culturale prima ancora che operativa. Non rendersi conto che in questi anni la magistratura è divenuto non più ordine autonomo, ma un potere “tout court” che come tale ha bisogno di essere regolato (in quanto in una democrazia liberale non può essere ab-solutus), è una grave carenza per chi questo potere lo dovrebbe regolare.

Riuscirà il premier Draghi a mediare ed evitare uno scontro all’interno della sua maggioranza e con il mondo delle toghe che potrebbe rivelarsi fatale, non solo per la Giustizia?