L’ultima arma di Putin: una colossale crisi umanitaria e migratoria in Europa dall’Africa

Quella a cui stiamo assistendo è senza dubbio la più grave crisi di profughi e rifugiati dal secondo dopoguerra. A dirlo sono i numeri: ad oggi sono più di cinque milioni gli ucraini costretti ad abbandonare il loro Paese per sfuggire alla guerra di Putin.

E, mentre in Italia c’è chi ci ha messo settimane prima di prendere posizione contro il capo del Cremlino e, chi – anche peggio – non ha ancora condannato a chiare lettere i barbari crimini che i soldati ai suoi ordini stanno commettendo contro vittime innocenti, a pagare le conseguenze della sua “operazione speciale” è il mondo intero.

Tralasciando in questa sede l’argomento gas (giusto ieri la Banca centrale europea ha suonato l’allarme dopo aver accertato che le famiglie sono costrette ad attingere ai risparmi per pagare le bollette) e restando sulla crisi umanitaria, c’è un aspetto di cui ancora si parla poco ma che è direttamente conseguente all’invasione dell’Ucraina: il blocco dell’export ucraino e, in particolare, del grano. Sebbene per il momento i numeri siano ancora gestibili (5.597 arrivi dall’inizio dell’anno), a preoccupare sono le nazionalità dei migranti. Gli egiziani su tutti e proprio a causa dell’improvviso rialzo del costo della vita: questo perché il Paese è il maggior importatore di grano dalla Russia, ma anche e soprattutto dall’Ucraina. Kiev è da sempre considerato il “granaio d’Europa”.

I venti di guerra si abbattono non solo sul grano, ma anche su altri cereali come il mais e, tra prezzi alle stelle sui mercati e timori per carenza di materie prime, anche il mondo agricolo – e non solo – è in grande allarme.

Nel Corno d’Africa, Somalia, Etiopia, Kenya, Eritrea, dove il 90 per cento della farina e del grano vengono importati da Russia e Ucraina, è già carestia. E i trafficanti di uomini hanno vita facile a rastrellare le loro prede villaggio per villaggio. Le carovane battono le piste che dall’Africa occidentale portano su verso il Marocco puntando poi alla rotta spagnola attraverso le Canarie o si spingono verso la Libia, dove i migranti passano di mano e restano per mesi in cerca di lavoro o nei campi di detenzione, sottoposti ad ogni tipo di violenza e ricatto.

Uno scenario destinato a peggiorare sempre più, con la prosecuzione del conflitto. Anche alla luce di quanto dichiarato qualche giorno fa dal primo ministro irlandese Michéal Martin, dopo un colloquio con il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal. “Putin vuole provocare una colossale instabilità internazionale sull’energia e sugli alimenti, in modo da creare così tanto terrore da far sfollare e scappare quante più persone nel mondo”.

Per questo, secondo il leader di governo irlandese, “il presidente russo ha bombardato i più grandi granai e silos dell’Ucraina. È un obiettivo strategico evidente”, ha continuato il leader irlandese, “ovvero creare una crisi alimentare o una carestia in Occidente.Il tutto, naturalmente,  unito alla crisi energetica già in corso.

Oltre alla guerra, altra grande piaga dei flussi migratori sono i cambiamenti climatici.

L’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, riaccende infatti l’attenzione sulla relazione tra le emergenze climatiche e le migrazioni forzate. “La maggior parte delle persone a cui assicuriamo sostegno proviene dai Paesi più esposti all’emergenza climatica, esposte a catastrofi correlate ai cambiamenti climatici, alluvioni, siccità, desertificazioni, eventi che distruggono mezzi di sussistenza e alimentano conflitti costringendo alla fuga”, ha detto l’Alto commissario Filippo Grandi. Insistono, infatti – ipotizzano gli analisti del settore – situazioni estreme che potrebbero spingere nuovi flussi migratori verso l’Europa. E l’Italia, Paese di primo approdo dall’Africa, potrebbe trovarsi stretta in una triplice morsa e dover affrontare un lavoro impegnativo sull’accoglienza: ai profughi ucraini in arrivo via terra da Nord (più di 101.000, 70.000 dei quali hanno già chiesto asilo), si aggiungono quelli in partenza dal Nord Africa (Libia e Tunisia) ma anche quelli che sbarcano sulle coste ioniche provenienti dalla Turchia e dalla Grecia. Una rotta, quest’ultima, che si prevede in costante aumento per la grande fuga degli afghani, e non solo quelli riusciti a riparare nei Paesi confinanti dopo la vittoria dei talebani.

“L’Afghanistan — spiega Save the children — sta affrontando la sua peggiore crisi alimentare. La metà della popolazione, 23 milioni di persone tra cui 14 milioni di bambini, fa i conti con la fame e sopravvive a pane e acqua. Il costo della vita è raddoppiato”.