di Andrea Molle
Diciamolo chiaramente e una volta per tutte: il sovranismo non dovrebbe esistere, nè come concetto nè come prassi politica. È solo una truffa semantica, orchestrata a fini elettorarli, che fa leva sugli istinti tribali più rozzi di un popolo esasperato dalla gelosia e, soprattutto, spaventato del senso di crescente irrilevanza. Un popolo che per disperazione si affida acriticamente a concetti semplici e rassicuranti, ma del tutto effimeri, come l’autarchia.
Ad esistere è invece il concetto politico-giuridico di sovranità che, al pari dell’interesse nazionale, svolge un ruolo fondamentale nell’ambito delle moderne relazioni internazionali. La sovranità sancisce infatti l’indipendenza giuridica e politica di uno stato rispetto agli altri. Essa consiste in un principio che si afferma nell’era moderna in contrapposizione alla concezione organicista della politica medievale, basata sulla frantumazione del potere ai diversi livelli della gerarchia feudale subordinata al potere temporale della Chiesa.
La sovranità, va detto, non è concessa da nessuno ma viene ad essere unicamente riconosciuta. Prima di tutto, essa adempie alla basilare funzione politica di legittimare il monopolio della forza fisica che lo Stato esercita sia su una popolazione e su un territorio sia nell’ambito delle dispute internazionali al fine di tutelare il proprio interesse nazionale. E tuttavia, proprio in base all’interesse nazionale cui è idealmente subordinato, il principio di sovranità non esclude che lo Stato possa e debba decidere, di concerto con altri Stati, di limitare lo spazio della propria azione legittima delegando alcune competenze ad organizzazioni sovranazionali, ovvero trasferire loro elementi di sovranità tramite trattati o leggi proprio per tutelare quegli interessi che sono condivisi da altri.
La truffa di chi si definisce sovranista, in assoluta malafede, è quella di presentare invece la sovranità come un dogma immutabile, un gioco a somma zero, un concetto apparentemente senza limiti, ma che paradossalmente viene definito in modo estremamente banale e cioè come il rifiuto a prescindere di ogni tipo di limitazione sovranazionale.
Il sovranista si pone dunque in contrapposizione alla ormai ovvia esistenza di interessi nazionali condivisi che necessitano dell’azione congiunta degli stati, tramite le organizzazioni internazionali, in un mondo sempre più caratterizzato da problemi globali. Va detto che la promessa sovranista, quella del ritorno ad una mitologica età dell’oro fatta di ricchezza e potere, è estremamente allettante nella sua banalità e rozzezza. Ma il limite di questa autarchia e della sovranità esasperata che essa implica, dovrebbe essere evidente a tutti quando si tratta di affrontare problemi complessi quali, ad esempio, l’immigrazione, la politica energetica, le grandi crisi etno-religiose.
Al pari del credo pseudo-religioso liberale della “mano invisibile”, il sovranismo si dice convinto che dalla somma degli egoismi nazionali possa sorgere il benessere della comunità internazionale. Ma a chi studia la storia è chiaro che dall’egoismo nazionale, da non confondere con il nazionalismo, possono solo derivare disuguaglianze e conflitti. Il sovranismo è dunque un paradosso politico proprio perchè si colloca in antitesi con ciò che dice di perseguire, l’interesse nazionale e il benessere dei popoli, ostacolando ogni tipo di progresso e soluzione alle grandi sfide globali.