Il calcio non è solo uno sport, ma un business e, come tale, va trattato. Partendo da questo assunto Paolo Scaroni ha rilasciato alcune dichiarazioni al Foglio che stanno incendiando il dibattito economico-sportivo sul calcio italiano.
Il presidente del Milan è diplomatico ma schietto: le procedure sullo stadio sono troppo lunghe e i problemi finanziari del settore iniziano a essere veramente gravosi.
Gli ostacoli che tutte le società italiane devono superare per costruire un nuovo stadio di proprietà non hanno eguali in Europa, i tempi sono biblici. “Il primo sito che ci dà il via libera, noi lo prendiamo”, spiega Scaroni aprendo, di fatto, alla possibilità di Sesto San Giovanni, le cui quotazioni sono salite dopo i rallentamenti imposti dalla giunta Sala a Milano. Tuttavia, Scaroni si definisce “abbastanza ottimista per quanto riguarda la zona di San Siro”.
“Certo – aggiunge -, quando a novembre, dopo una lunga discussione, abbiamo deciso di abbassare i volumi per le attività-non stadio, l’ultima cosa che avrei immaginato è che ci sarebbe voluto un altro anno di attesa per la consultazione pubblica”. Il procedimento di cui parla Scaroni richiederà addirittura un anno. “Ci capiamo?”, chiede ironicamente. “Ci sono tutte le approvazioni, tutti sono d’accordo e bisogna fare anche la consultazione popolare. Benissimo, questa è la legge e noi vogliamo rispettare la legge, ci mancherebbe. Ma perché la legge del 2013 non ha previsto che tale vincolo fosse eliminato? E poi ci sono i ricorsi al Tar che, anche se saranno vinti, comporteranno ulteriori ritardi. E mentre noi aspettiamo, il mondo va avanti. Nello stesso periodo tre stadi sono stati costruiti solo a Londra, per dire”.
Scaroni è dirompente, “Fare infrastrutture in Italia – spiega – è un problema drammatico: la gente dice di non avere nulla in contrario, purché siano lontane. Sugli stadi è stato fatto uno sforzo notevole con la legge del 2013, che prevedeva di togliere – almeno in gran parte – alle amministrazioni comunali la possibilità di veto. In realtà, guardando bene questa legge, si scopre che così non è”. Ma nel Paese della burocrazia, del trovata la legge trovato l’inganno e dei comitati no-tutto, lo stupore stupirebbe.
Il gap finanziario, quindi qualitativo, con gli altri campionati sta crescendo e questo trend, scaturito da una pluralità di cause, non sembra essere destinato all’inversione. Va capito, e va comunicato meglio anche alle persone comuni, che il calcio non è più solo uno sport. È diventato un business e come tale va trattato.
La della questione degli stadi di proprietà rimane in ogni caso centrale, sono una conditio sine qua non per il successo nel resto del continente, la questione è articolata. “Non solo abbiamo stadi più vuoti, ma siccome li abbiamo anche più vecchi, non riusciamo a incassare denaro attraverso le attività ancillari che gravitano attorno all’impianto. Si pensi – argomenta Scaroni solo che i ricavi da stadio sommati di Milan e Inter nel 2017/18 e 2018/19, circa 157 milioni sono inferiori a quelli di Chelsea, Tottenham, Arsenal, Liverpool e Manchester United considerati singolarmente”. Numeri da allarme rosso.
Dai diritti tv esteri della Serie A si incassano 200 milioni a stagione, la Premier League, invece, due miliardi all’anno: dieci volte tanto. Anche la Liga spagnola ci batte grazie ai suoi 897 milioni. “Siccome il denaro è il motore dello spettacolo, il confronto è facile: entriamo in un circolo vizioso che porta il nostro calcio a scadere continuamente. Il risultato netto è che il prodotto che offriamo è scarso, senza i Messi e Mbappé, semplicemente perché non possiamo permetterceli. E se continuiamo così, ci allontaneremo sempre di più dall’eccellenza del calcio”.
“Stiamo discutendo di come vendere i nostri diritti negli Stati uniti, in Cina, Australia, ne parliamo sempre”, dice il presidente del Milan. “È indispensabile avere un’organizzazione per essere lì presenti, ma – aggiunge subito – dobbiamo essere consapevoli, e lo ripeto, che va migliorato il prodotto”.
Nell’intervista al Foglio, Scaroni giustamente non fa sconti a nessuno. “Gli stadi italiani sono circondati da bancarelle gestite da signori che andrebbero multati, perché fanno una cosa illecita. Un altro danno economico per le squadre di calcio.
Il presidente del Milan ribadisce che le società hanno “la necessità di imbastire un’attività capace di stare in piedi: è finita l’epoca dei mecenati. Quel mondo non sarebbe neanche più possibile, con i vincoli del Financial fair play.” Aggiunge poi, “un’attività sta in piedi se c’è uno stadio pieno, se sugli spalti si vedono magliette non contraffatte, se le attività attorno all’impianto hanno possibilità di svilupparsi. Lo spettacolo va al di là dell’ora e mezza di partita, come si vede in Inghilterra”. Discorsi condivisibili al 100% che, tuttavia, in Italia non trovano terreno fertile.