La Lega non ne può più di Salvini: Giorgetti, Fedriga e Zaia pronti a giubilarlo

Se dal fronte giudiziario – il processo per Open Amrs – per Matteo Salvni sembra che siano in arrivo schiarite sostanziali, sul versante politico interno, al contrario si addensano nubi molto nere, presagi di imminenti tempeste.

E son le nubi nere del complotto regicida, o, in modo meno romanzato, della seria riflessione che lo stato maggiore del Carrocio starebbe avviando circa la guida del partito. In particolare, dopo le pesanti sconfitte referendarie e amministrative, ultime debacle di una lunga serie iniziata al Papeete nel 2019, esiste un caso-Salvini nella Lega e anche i pretoriani più fedeli se ne stanno rendendo conto. Pare che telefonate, ammiccamenti e contatti ci siano e siano pure frequenti – seppur in modo simil carbonaro – fra Giorgetti, Fedriga e Zaia, in attesa di vibrare il feral colpo e sostituire Salvini.

Se non è congiura, ci assomiglia molto. D’altra parte, i tre vivono di vita propria e niente devono a Matteo Salvini, perciò un disarcionamento del Capitano non avrebbe per loro grossi contraccolpi. Anzi! Infatti, per i novelli Bruto e Cassio, Salvini ormai è inaffidabile, poco lucido e rischia di condurre il partito alle precentuali irrisorie di qualche anno fa. Ci si chiede ancora che aspettino a far cadere un leader di paglia che eccita le folle ma fallisce tragicamente la prova del governo.

D’altra parte, esiste tutta un’ala all’interno della Lega che non vuol sentir parlare di partito unico con Forza Italia, o di fusione di tutto il centro destra in un nuovo soggetto politico e che non ha mai digerito la trazione nazional-sovranista che Salvini ha impresso al partito. Ma finchè il leader sembrava infallibile e aumentava percentuali a ogni tornata elettorale, la sua linea era inattaccabile e, obiettivamente, vincente. Scarsa di contenuti e piena di slogan, eppur vincente.
Adesso che la stella sta cadendo, quelle proposte politiche sembrano solo un pretesto dilatorio per “tirare a campare”, Il leader sembra ormai un Re Mida al contrario (come ha magistralmente scritto qualcuno in questi giorni), e tutto ritorna in discussione.
Insistere su una linea pericolosa, quella del leader nazionale, o ritornare alla versione settentrionalista prima maniera? E, nella seconda ipotesi, Giorgetti, Zaia e Fedriga sarebbero disposti ad alzare l’asticella del conflitto fino alla scissione? Domande che circolano sempre più insistentemente dalle parti di Via Bellerio e che già venivano evocate qualche giorno fa da Paolo Damilano dalle colonne de il Foglio che esplicitamente parlava di scelta netta per i moderati leghisti: o cacciare il segretario o fare le valigie in cerca di miglior foruna.

Per adesso Salvini sostanzialmente tace, in attesa di sfangare il processo Open Arms di prossima udienza a Luglio e prepararsi a un autunno che potrebbe essere caldo, non solo per il clima. Pesano la situazione internazionale e i relativi riflessi interni anche dal punto di vista economico e sociale e non dimentichiamo che ci sarà da metter mano alla legge di Bilancio e fare i conti con l’UE. La versione Lega di lotta e di governo non convince più, e la irrilevanza del partito all’interno della maggioranza ormai è evidente, tanto che lo stesso leader ha evocato scenari apocalittici (e, invero, irresponsabili) se entro il 18 Settembre, data della manifestazione storica di Pontida, non dovesscero esserci scelte nette da parte del Governo Draghi su tasse e autonomia regionale. Intendiamoci, non che le minacce di Salvini spaventino il premier, ma potrebbero essere il grimaldello per scardinare le strategie dei presunti complottardi e ricompattare i ranghi su una linea dura. Intanto, il segretario ha blindato il congresso del partito e compilerà le liste elettorali per le politiche 2023, con il dlemma sulle figure da inserire. Se nomi a lui fedeli con il rischio di consolidare la fronda, o nomi dell’ala cosiddetta moderata con il rischio di rovesciamento interno subito dopo le elezioni? Dubbi che tormenteranno il capitano in quest’estate 2022. In ogni caso, sembra sempre più chiaro che la tornata politica sarà il vero spartiacque, per la segreteria leghista.

La speranza di Salvini, ormai ridotta al lumicino, sarebbe un successo elettorale ma ciò sembra un’opzione sempre più remota. D’altro canto, la lentezza con cui Giorgetti, Zaia e Fedriga si stanno muovendo acuisce ancor di più l’assenza di una componente moderata nella destra italiana che si faccia promotrice di un vero e proprio riformismo responsabile. D’altra parte non è un caso che meccaniche analoghe si stiano consumando nell’altro partito populista italiano: il Movimento 5 Stelle, in cui la lotta tra il moderato Di Maio e il leader Conte sta conducendo quel partito alla rovina (per fortuna, oserei dire). Segno evidente che il destino de populismo tanto grillino quanto leghista è quello di esser buona cassa di risonanza per la propaganda ma di non avere nel proprio DNA la cultura di governo che invece serve all’Italia.
Perciò – cari Giorgetti, Fedriga e Zaia – il romanzo interno leghista potrà pure essere affascinante da seguire sotto l’ombrellone, ma la Politica è altro e il Paese non ha proprio tempo di attendere a lungo gli esiti della soap-opera in salsa padana.