Non era così che se lo era immaginato il suo ritorno in Senato. Messo ko da Fratelli d’Italia – e dalla brama di strapuntini dei franchi tiratori – e considerato dai più un tenero anziano che non ha saputo gestire le trattative e che si è fatto mettere nel sacco, ancora una volta, per una donna. La quale, nella fattispecie, stavolta è la senatrice Licia Ronzulli, ex infermiera promossa da tempo a sacerdotessa del cerchio magico di Arcore.
Silvio Berlusconi mastica amaro e l’emblema del fastidio del Cav è la plateale sbroccata di ieri a Palazzo Madama a Ignazio La Russa. Quanto accaduto con l’elezione del presidente del Senato, del resto, certifica un ko tecnico che Silvio non aveva previsto. E che è scaturito come rappresaglia per l’intransigente no della Meloni ad un ministero per la vestale berlusconiana. “Possibile che Salvini possa fare un passo indietro, che si convinca a mollare il Viminale, e lei non si accontenti di un ministero di seconda fascia?” si chiedono su sponda FdI in relazione alla testardaggine della Ronzulli, capo delegazione azzurra per perorare la causa di se stessa medesima. “Questo sarebbe il trattamento che si riserva a una ex presidente di commissione del Senato?” replicano da sponda FI – ma buona parte del partito non sostiene la senatrice fedelissima di Silvio -, ma la verità è che la trattativa condotta dalla Ronzulli (che adesso mira alla segreteria di Forza Italia) è stata un fallimento su tutti i fronti, a cominciare dalla volontà di escludere dal tavolo del confronto un mediatore di grande esperienza come Antonio Tajani. Che adesso tace e se la ride.
Ovviamente la rottura, in parte recuperata oggi con l’elezione del leghista Fontana alla presidenza della Camera anche coi voti di Forza Italia, ha motivazioni ben più radicate della semplice antipatia atavica tra Licia Ronzulli e Giorgia Meloni, fatta di bordate a colpi di no vax, green pass e vaccini. Che le due si stiano cordialmente e reciprocamente sulle scatole non è un mistero, e non lo è da anni. Impossibile non ricordare l’episodio, stigmatizzato proprio da La Russa, della senatrice azzurra beccata a togliere il cartello “riservato Meloni” dalla prima fila del teatro in cui si presentava il candidato sindaco del centrodestra a Milano per riservarlo alla Lega. La Russa le impedì di rimuoverlo bloccandole il braccio, ma la questione non si chiuse lì. Tanto che mesi fa Ronzulli provò anche a rimettere in discussione la leadership della coalizione che sarebbe uscita dal futuro voto. “Chi lo ha detto che chi prende più voti è automaticamente candidato premier della coalizione?” disse, dimenticando che la regola l’aveva fissata Berlusconi quando le urne gli sorridevano. Gli animi si sono talmente esacerbati che FdI alla fine per il Senato ha attuato il piano B: eleggere La Russa senza i voti di Forza Italia, mettendo la Ronzulli a cuccia e ridimensionando Berlusconi. Al punto che il Cav, tra i suoi appunti di ieri in Senato, di ieri in senato ha scritto “Meloni supponente, comportamento arrogante e offensivo, nessuan disponibilità al cambiamento, è una con cui non si può andare d’accordo”. Non proprio i presupposti per un lineare avvio di legislatura tra alleati.
E poco importa se oggi gli azzurri alla Camera hanno votato come presidente il candidato di Salvini e iper putiniano Lorenzo Fontana. Silvio ha detto ai suoi di votare per l’esponente del Carroccio, ma ha anche lanciato un avvertimento alla futura premier: “Votiamo Fontana per non sprecare altro tempo, ma da noi devono passare. Giorgia Meloni non può mica pensare di andare avanti con i voti dell’opposizione”. Messaggio chiaro: ora Forza Italia si attende che la Meloni torni a cercarli. Altrimenti, come suggerito dai falchi ronzulliani, Silvio potrebbe salire al Colle per consultazioni con Mattarella anche da solo, non riconoscendo la leadership di Giorgia. La Meloni ha vinto una battaglia, ma la sua maggioranza non esiste.