“Necessario un riavvicinamento strategico tra la Nato e la Russia non appena la guerra russo-ucraina sarà conclusa e risolta da un trattato di pace”.
Marine Le Pen, candidata del Rassemblement National alle elezioni presidenziali francesi, in ballottaggio per l’Eliseo con l’uscente Emmanuel Macron, non molla il suo riferimento estremista, quel Vladimir Putin che sta macchiando di sangue l’Ucraina alle porte dell’Europa, e ipotizza che l’autarchia del Cremlino possa continuare anche dopo la guerra ad avere un ruolo di primo piano nella politica internazionale. Non solo. Nella conferenza stampa in cui spiega il suo programma di politica estera, l’estremista di destra si esibisce in un capolavoro di cerchiobottismo militante, con distinguo sulla UE e sulla Nato che potrebbero sembrare schizofrenia allo stato puro, ma che in realtà non sono che l’estremo trucco della Le Pen per rifarsi una verginità moderata che non ha avuto, non ha e non avrà mai: un po’ nell’Alleanza atlantica, sostiene, ma tornando al pre 2009, quando la Francia non faceva parte del comando militare integrato, da cui intende uscire; un po’ dentro l’Unione Europea, ma giusto quanto basta per “riformarla dal suo interno”.
Insomma, l’unica posizione netta che emerge dalle parole della Le Pen, nonostante i distinguo (“Putin l’ho incontrato solo una volta nel 2017” spiega) e le chiacchiere cerchiobottiste, è l’incredibile mancanza di una ferma condanna all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia. Critica la Merkel (“La sua politica migratoria e quella energetica, ma pure la sua egemonia che ha imposto alla Ue, sono state funeste per l’Europa e per la Germania stessa” sentenzia) e sottolinea la distanza tra Parigi e Berlino (“Divergenze inconciliabili, bisogna bloccare l’insieme della cooperazione Berlino sul piano militare” minaccia) ma non spende una parola sulla mattanza del Cremlino in Ucraina. Perché nel cuore (e nella testa) di Marine nel futuro dell’Europa c’è sempre Vladimir.
Nonostante gli incredibili e pelosi vuoti di memoria della leader dell’estrema destra francese, che in caso di vittoria sposterebbe l’asse europeo pesantemente verso la Russia di Putin, non si può continuare a sostenere – come in Italia fa anche spesso Matteo Salvini – che una volta che il conflitto sarà terminato tutto dovrà tornare come prima, riprendendo il dialogo con un autarca responsabile di migliaia di morti. Perché ha assolutamente ragione il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quando dice che “o la leadership russa cercherà la pace, o come risultato di questa guerra, la Russia lascerà per sempre la scena internazionale. Questa guerra può finire solo con la sconfitta strategica della Russia, prima o poi”. Con buona pace della Le Pen (e di Matteo Salvini).