Non vi è dubbio che nel corso degli ultimi 20 anni, l’Unione Europea sia stata chiamata a far fronte a una serie di eventi e fenomeni di una tale complessità da costringere rapidi aggiustamenti di rotta e a implementare una sempre maggiore flessibilità rispetto a un processo di integrazione che aveva marciato fino ad allora lentamente e quasi svogliatamente.
L’11 settembre 2001 ha gettato il mondo nel panico da terrorismo di matrice islamica, poi ci sono state le crisi economiche e bancarie, l’aumento dei flussi migratori (connessi ad altre emergenze quale quella alimentare e quella climatica oltre che al deflagrare asimmetrico di conflitti che hanno visto la partecipazione anche dei Paesi europei), fino alla pandemia e la guerra in Ucraina hanno portato in luce la necessità di accelerare sul fronte dell’integrazione comunitaria.
Errori ne sono stati fatti, indubbiamente, ma è il momento di trarre lezione da questi e procedere spediti. I nazionalismi e i sovranismi che solo fino a qualche anno fa sembravano invincibili, si stanno andando a schiantare contro la miopia politica intrinseca alla loro base ideologica, eppure anche l’Unione stenta a riformarsi e stenta a darsi quello slancio decisivo che può renderla protagonista in un mondo sempre più complicato fra la crisi dell’Occidente e l’espansione dell’Impero cinese (e satelliti) e i rischi di una guerra mondiale.
Tante volte, in questi anni, il tema degli Stati Uniti d’Europa – che per Buona Destra è il primo dei punti del Manifesto fondativo – è stato evocato nel dibattito pubblico interno e internazionale quale unica risposta possibile a un mondo tripolare. Eppure, dalle parole non siamo mai passati ai fatti. O almeno non con la determinazione che sarebbe stata necessaria. Il compromesso al ribasso rappresentato dal Trattato di Lisbona dimostra quanto forte fosse allora (ed è anche oggi) il potere interdittivo degli Stati nazionali e il loro condizionamento rispetto a una visione marcatamente integrazionista e federalista. Il vero cardine della politica europea è stato sempre e solo il Consiglio dei capi di Stato e Governo che non è altro che un tavolo in cui si misurano i rapporti di forza degli esecutivi continentali.
Il cosiddetto “federalismo degli esecutivi” non si è mai tradotto negli USE. A dispetto di quel che dice la Meloni, viviamo in una Confederazione senza accorgercene, ed è ora di transitare verso una vera e propria Federazione.
Oggi che il dibattito sulla revisione dei trattati si è riaperto grazie alla Conferenza sul futuro dell’Unione, si ripresenta una storica occasione per fare quel famoso step forward verso gli Stati Uniti d’Europa che deve essere culturale e politica oltre che formale e giuridica.
Buona Destra auspica senz’altro l’applicazione della procedura ordinaria prevista dai trattati (e non di quella semplificata) che possa compattare il Consiglio sulla base del testo uscito dal Parlamento Europeo, eventualmente emendato dalla Commissione sulle materia maggiormente controverse. Crediamo che oggi, le priorità siano: politica fiscale comune, autonomia energetica europea e politica comune di sicurezza interna ed esterna. Per far questo, è quindi necessario un doppio binario: agire con legislazione ordinaria nelle materie in cui si può e cambiare i trattati laddove si deve.
Tuttavia, urge anticipare in fatto ciò che deve avvenire in diritto, soprattutto con riferimento al coordinamento energetico e di sicurezza. La trattazione congiunta a livello europeo delle tematiche indubbiamente più urgenti alla luce della guerra e delle sue conseguenze, consentirebbe anche di coinvolgere l’opinione pubblica comunitaria e traghettare i cittadini alle elezioni europee del 2024 in modo consapevole senza che esse continuino ad essere mera ripetizione di consenso rispetto ai partiti nazionali.
Ecco, le elezioni europee prossime potrebbero davvero rappresentare un banco di prova importante per sancire il “dove siamo adesso”. Stiamo di fronte a un bivio, a una alternativa tra il ripiegamento verso la sovranità nazionale chiusa e tendenzialmente ostile, e uno spazio di democrazia aperto e allargato, con il coinvolgimento partecipativo dei cittadini, degli enti territoriali e dei portatori di interessi per scrivere tutti assieme il futuro del continente.
Insomma, uno spazio inclusivo fondato sul primato del diritto europeo per la costruzione di una realtà politica che tuteli e difenda i singoli stati e i cittadini ad essa appartenenti in un mondo globalizzato. Insomma, l’alternativa tra la solitudine statica e la cooperazione inclusiva e dinamica.
Se prevarrà questa seconda ipotesi, occorrerà dar vita a una vera e propria costituente europea che sancirà il passaggio anche costituzionale verso un’Europa una e federale che adoperi il metodo dell’integrazione differenziata. Una nuova Costituzione Europea che ridisegni la forma di governo e che passi eventualmente anche attraverso un referendum popolare per sancire un nuovo patto tra istituzioni e cittadini.
Due anni sono tanti e pochi al contempo e tutto dipenderà da come verranno impiegati. E’ il momento di pensare alla costruzione della casa comune europea: non sprechiamo quest’opportunità.