La piccola Alice è salva; ha un visetto graziosissimo e due occhietti scuri velati da malinconia: raccontano la sofferenza di due mesi trascorsi accucciata al buio per non sentire l’eco delle bombe. E raccontano di un dolore grandissimo, perché non sa che fine abbia fatto la sua mamma; in un’età in cui un mondo senza mamma nemmeno si riesce ad immaginare.
Alice ha 4 anni e, domenica scorsa, è stata evacuata insieme ad altri civili rifugiati nell’acciaieria di Mariupol, ultimo brandello di Ucraina nella regione che Putin pretende.
Quello di Alice, però, è un desiderio esaudito a metà: nel video girato col telefonino e fatto circolare il 17 aprile scorso dai combattenti del Reggimento Azov, la bambina non era stata lì a specificare che pure sua madre doveva essere evacuata con lei. Lo dava per scontato: non era della sua mamma, invece, la mano che stringeva quando l’hanno portata nel centro rifugiati di Zaporizhzhia. Alice è sola.
La sua mamma, Victoria Obidin, non è stata fatta salire sul pullman: è un medico militare e durante i giorni più drammatici dell’assalto all’acciaieria ha curato le ferite dei combattenti che ancora resistono ai soldati russi. Non si sa bene che fine abbia fatto Victoria: oggi la Repubblica racconta che le informazioni sono frammentarie e difficili da confermare con fonti indipendenti.
“È rimasta in un campo di filtrazione nella cosiddetta autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk”, spiegano i responsabili del reggimento Azov sul loro canale Telegram. “Alice è arrivata a Zaporizhzhia ed è stata affidata a una famiglia ucraina”. Sembra che la donna sia stata prelevata dall’Azovstal e trasferita nel villaggio di Mangush, venti minuti di macchina a ovest di Mariupol, dove si trova uno di questi campi di filtrazione. Chiamano così i centri di detenzione tirati su dall’esercito russo dove vengono chiusi gli uomini e le donne che, direttamente o in qualità di volontari, hanno partecipato alla difesa della città.
Quel poco che si sa su questi campi trapela da filmati girati furtivamente col cellulare e finiti in Rete, immagini che raccontano l’ennesima storia di violenze di guerra. Si parla di pestaggi, di trattamenti sanitari negati, di interrogatori, di condizioni igieniche disastrose e di documenti confiscati e sostituiti da una “carta del campo” su cui sono riportati nome, cognome, data di nascita e data di ingresso. A Mangush, che prima della guerra contava 7 mila abitanti e dove i satelliti hanno individuato segni di fosse comuni, ne è stato costruito uno. Gli occupanti russi respingono ogni accusa di tortura e sostengono che si tratti di “normali” centri di permanenza temporanea.
A rendere nota l’evacuazione di Alice è stato il Consiglio comunale di Mariupol. In tutto, dalla città martire della guerra di Putin domenica sono partite 170 persone, tra cui, appunto, gli ultimi 40 “inquilini” dell’Azovstal. C’erano bambini, persone anziane, una signora che si muove su una sedia a rotelle, dei genitori disperati. Dieci i pullman organizzati per il viaggio a Zaporizhzhia. “E’ arrivata anche una bambina da sola e al momento non si sa dove si trovi la madre», ha fatto sapere subito il portavoce del Consiglio comunale. “Chiediamo alla comunità mondiale di intervenire e restituire la bambina alla mamma”.
Sui social network è stato lanciato un appello rivolto anzitutto all’Unicef perché si occupi di Alice. Hanno prodotto un hashtag, #returnAlissimama.