Ha ragione Francesco Piccolo, quando su “Repubblica”, in riferimento a quanto accade in Ucraina, afferma che ormai non serve più capire “perché gli uomini siano capaci di un tale orrore, ma come riuscire a farlo terminare”. Ha ragione quando cita il Calvino de “la sopravvivenza di un discorso umano in un mondo dove tutto si presenta inumano”.
Ha ragione perché, riflette lo scrittore, di fronte alla disumanità non si può solo andare alla ricerca del buonismo a prescindere, pronunciando discorsi “senza alcuna responsabilità pratica – scrive -. Fino all’inizio di questa guerra, e quindi da molti decenni, era possibile assumere il ruolo (opinabile ma legittimo) di chi svolge il discorso umano in un mondo inumano. Cioè, assumere il compito e il ruolo dei buoni. Tutto ciò è durato molti decenni. E per qualche incauto, dura ancora, in queste settimane. Ma in realtà questa guerra così vicina e complicata, nonostante la chiarezza di chi aggredisce e di chi è aggredito, ha spezzato un’abitudine a cui tutti sottostavano”.
“Fino a quando l’inumano non si è presentato vicinissimo e più inumano, tanto da richiamarci a ciò che per decenni abbiamo ritenuto terribili fatti storici del passato (o fatti di terre lontane, e per chi voleva fare un discorso umano era già contraddizione cocente) – aggiunge Piccolo -, era molto facile essere buoni. Soltanto durante la guerra dell’ex Jugoslavia avevamo assaggiato l’inutilità del discorso generico e buono, ma eravamo stati in grado di ripristinarlo in fretta. Adesso, forse, e il discorso umano si è frantumato per sempre. Abbiamo imparato a conoscere i nomi di ogni inviato di ogni quotidiano o di ogni telegiornale, e abbiamo reso giustizia alla grandezza del giornalismo sul campo; ma le voci di commento – se non sono di esperti, e quindi non generiche – si stanno spegnendo. E non ne sentiamo la mancanza”.
Basta con la parola “pace” usata in modo generalista e in fondo anche ipocrita quando la pace purtroppo non c’è e per riaffermarla servono le armi. “Qualsiasi affermazione generica, qualsiasi discorso umano, sbatte contro dubbi e problematiche complesse – aggiunge ancora Piccolo -. Vogliamo non essere coinvolti, vogliamo stare lontani dalla guerra, vogliamo che finisca l’orrore, vogliamo che non si valichino i confini dei diritti umani. Ma siamo già dentro a tutto questo, e i mezzi per uscirne sono molto diversi e più complicati di quelli che avevamo prima di entrarci. Questa guerra ha fatto in modo che non ci sia più spazio per il discorso umano generico, quello che va bene per qualsiasi evento tragico o fatto di cronaca, con il quale si rassicurava il lettore dicendogli siamo entrambi buoni, e quindi a noi non potrà succedere nulla. Da adesso in poi il compito, tutt’altro che generico, è di capire: non come sia possibile che gli uomini siano capaci di tutto questo, ma di come farlo finire”.