Un’estate difficile quella di Giorgia Meloni. La crisi migratoria mette in luce la fragilità delle politiche messe in atto dal governo italiano, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con Tunisia e Libia. La prima estate da presidente del Consiglio è diventata per la premier un banco di prova della gestione delle migrazioni, e sembra proprio che il muro invisibile anti-migranti che aveva tentato di costruire attraverso memorandum, vertici diplomatici e promesse internazionali stia crollando irrimediabilmente.
L’attenzione si focalizza sulla Tunisia, dalla quale stanno aumentando gli sbarchi di migranti via mare nonostante il memorandum firmato con il presidente Kaïs Saied. Non più di 43 giorni fa, Meloni aveva annunciato soddisfatta che l’accordo con la Tunisia rappresentava un passo avanti importante per affrontare la crisi migratoria in maniera integrata. Tuttavia, la realtà è completamente diversa, poiché gli arrivi via mare dalla Tunisia sono aumentati del 38% rispetto al periodo immediatamente precedente la firma dell’accordo.
Il memorandum aveva l’obiettivo di creare un partenariato con la Tunisia per affrontare il controllo delle partenze e il ritorno degli irregolari rintracciati in Europa che non hanno diritto all’asilo. Ma i numeri ufficiali dimostrano che la guardia costiera tunisina, pur disponendo di motovedette donate dall’Italia, si limita a pattugliare il litorale, lasciando che i flussi migratori continuino.
La situazione non è migliore neanche con la Libia, dato che l’accordo blocca-partenze, riconfermato dal governo Meloni, non ha portato ai risultati sperati. Il governo italiano aveva annunciato la volontà di svuotare e chiudere i centri di detenzione in Libia, ma tali centri sono ancora aperti e le organizzazioni umanitarie lamentano difficoltà nell’accesso e una situazione sempre più complicata per le organizzazioni internazionali.
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Anche l’Europa sembra incapace di dare una risposta coordinata ed efficace alla crisi migratoria. Nonostante le dichiarazioni entusiastiche della premier Meloni riguardo al nuovo Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo, l’accordo è rimasto bloccato a causa del rifiuto di Polonia e Ungheria di accettare qualsiasi forma di solidarietà obbligatoria (strani amici che ha Giorgia). L’Italia si trova ad affrontare il fenomeno migratorio in solitudine, nonostante l’appello di politici italiani affinché l’Europa prenda parte all’azione.
Un potenziale strumento di sollievo è la redistribuzione volontaria tra Stati membri dell’Unione Europea, prevista da un accordo firmato da 15 paesi dell’UE e 4 paesi non Schengen. Tuttavia, l’Italia sta snobbando questa possibilità, poiché sinora solo una frazione dei richiedenti asilo ricollocati proviene dall’Italia, dimostrando la riluttanza a impegnarsi in una redistribuzione che potrebbe alleggerire il sistema di accoglienza italiano.
Le promesse di partnership e controllo si stanno infrangendo davanti alla realtà dei numeri sempre crescenti degli sbarchi. L’Europa sembra incapace di agire in maniera coordinata e l’unico strumento di redistribuzione volontaria sembra essere trascurato. La sfida della gestione dei migranti rimane aperta e richiederà un impegno ben più concreto e collaborativo da parte del governo italiano e dell’intera Unione Europea.