Firenze, anno 1993. Ore 01.00. Tutto sembra tranquillo. Una notte come tante, dopo il caldo e l’umido della giornata in città, come sempre in primavera. Alcune finestre aperte per cercare di strappare quale ora di sonno all’afa che non lascia tregua. Il centro città con poche persone in giro. Una Fiat Fiorino è stranamente parcheggiata in Via dei Georgofili, a due passi dalla Galleria Degli Uffizi, vanto di Firenze da secoli, e crocevia di turisti che da tutto il mondo vengono a visitare le bellezze cittadine. Sullo sfondo, Palazzo Vecchio, e poco più distante le sagome del Duomo e del Campanile di Giotto.
Firenze, anno 1993. Ore 01.04. L’inferno in terra. Nella notte, in quella come tante in città, la Fiat Fiorino, parcheggiata in modo anonimo vicino, troppo vicino, al museo vanto e orgoglio della città, esplode e uccide. Cinque persone, di cui due bambine. Muoiono nell’esplosione Fabrizio Nencioni (anni 39) la moglie Angela Fiume (anni 31), le figlie Nadia (anni 9) e Caterina (solo 50 giorni), muore anche Dario Capolicchio (anni 22). Una strage, barbara e insensata. Cinque vite portate via, senza che nemmeno sapessero il perché. Sangue innocente versato nella notte.
Pochi secondi e anche a Firenze si celebra la cruenta apocalisse mafiosa. Cosa Nostra era sbarcata in continente a Roma, Milano e nel capoluogo toscano, con la sua strategia stragista e terroristica per annientare non solo magistrati impegnati da sempre nel contrasto alla criminalità, ma per dare un segno all’Italia e al mondo: qui comandiamo noi! E se un magistrato può essere sostituito, un’ opera d’arte no. La mafia colpiva il cuore dello Stato non solo nelle persone e rappresentative (Falcone e Borsellino), ma anche in ciò che ci rende unici nel mondo. L’arte e la bellezza: e lo faceva nella città simbolo di tutto ciò. Firenze!
Oggi, a 29 anni di distanza, Firenze ricorda con commozione quelle giovani vittime, non dimentica la barbarie mafiosa e continua a interrogarsi su chi e perché ha voluto quella strage insieme alle altre. Perché non tutto è chiarito. Subito si è rivelato evidente il filo rosso che legava le stragi di Firenze alle bombe precedenti e susseguenti di Milano e Roma, e prima ancora a quelle di Palermo: stessi autori, stesse facce, stessi nomi. Gaspare Spatuzza (oggi pentito), fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Vincenzo Sinacori e un’altra trentina fra boss e picciotti di alto e medio calibro. Tutti condannati con sentenza definitiva in Corte di Cassazione. Oggi è accertato con sicurezza come fu organizzato l’attentato agli Uffizi, chi vi partecipò materialmente, chi reperì il veicolo, chi lo imbottì di tritolo e quanto esplosivo venne impiegato. La fase esecutiva è chiara, inattaccabile anche grazie alla collaborazione di tanti pentiti e ai riscontri effettuati dalla Procura della Repubblica e dalle forze di polizia che hanno svolto un egregio lavoro investigativo. Ma oltre quel livello, le domande ancora ci sono, in questa città dai tanti misteri irrisolti.
Certamente fu mafia. Ma fu solo mafia? E qui i misteri si infittiscono, fino a farsi nebbia, fitta, densa e maleodorante.
La sensazione è che ci siano ancora pagine da scrivere su questa strage e su quelle che l’hanno preceduta e che l’hanno seguita.
Se il sostanziale fallimento del processo sulla Trattativa Stato-Mafia ha dimostrato che non è in quella direzione che bisogna cercare, cionondimeno, le domande restano e impongono risposte certe e definitive.
E’ obbligo continuare a cercare la verità. Per onorare i morti e per dare senso a una città ferita a morte 29 anni fa e che ha diritto a conoscere i fatti, le complicità, i silenzi e le omissioni. Una città che ancora oggi, grida forte e determinata il suo NO alla mafia, il suo NO alla violenza, il suo NO al terrorismo e alla barbarie.