Le persone che aiuta e i volontari lo chiamano “Nico italiano”. Da quando è cominciata la guerra in Ucraina gira sulla su Jeep nera per portare aiuti alla popolazione. Perché anche se Nicola, chef di 46 anni, è bergamasco di nascita, si sente vicino al popolo ucraino: da tre anni vive lì con sua moglie Anna e la loro figlia di nove anni. Ora che è arrivata la guerra, “Nico italiano” prima si è messo a cucinare i pasti dei soldati ucraini, poi si è trasformato in un volontario tuttofare che coordina spedizioni umanitarie.
Un lavoro che, di fatto, lo espone al rischio come se fosse un prima linea. “I militari russi ci sparano addosso. Hanno colpito con i kalashnikov più volte i nostri mezzi, nonostante avessimo bandiere bianche – racconta Nicola, che ha tatuata addosso la bandiera gialloblu dell’Ucraina -. Qui avevo avviato un’attività imprenditoriale nel campo della ristorazione e non mi sono più fermato. Quando hanno cominciato a piovere le bombe non ci ho pensato su due volte. Non si può andare via, bisogna aiutare questo popolo, che mi ricorda l’Italia di trent’anni fa: è gente unita e a dispetto degli stereotipi è molto affettuosa”.
“Arriva sempre più gente da Mariupol, Kharkiv, Lugansk, Donestk, Kherson e Mykolaiv, ma qui la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro – aggiunge -. Il sindaco di Dnipro ha pregato la gente di non fermarsi più in questa città e di cercare di proseguire oltre, perché potrebbe essere pericoloso. Molti però vogliono restare il più vicino possibile alle proprie case”.
Nicola è l’unico italiano rimasto a Dnipro. “Avevo cominciato a far arrivare merce dal nostro Paese, attivandomi con le associazioni, poi man mano che i tir raggiungevano Leopoli si scaricava merce (medicine, cibo, vestiti) e salivano le persone per andare in Polonia – prosegue il racconto -. Ancora adesso organizziamo pullman e furgoni che vanno a prendere sfollati in fuga da Mariupol, tra questi anche quelli che erano nel teatro crollato sotto le bombe. Ho fatto il conto, finora con varie organizzazioni abbiamo messo in salvo 27mila persone”.
“Nico italiano”, che parla fluentemente russo, passa la giornata a correre da una parte all’altra della città per portare aiuti. “Ci sono centinaia di chili di pasta ma magari mancano le pentole o quegli sfollati non hanno il microonde, quindi vado a prendere le scatolette – spiega -. Cerco di essere efficiente per ciò che serve al momento e bisogna anche sistemare le persone. Per questo cerco appartamenti sfitti e prendo coperte. Sono appena arrivati duecento anziani, dove li sistemo? In uno dei centri dove abbiamo materassi gonfiabili e dei letti. L’organizzazione è tutto per poter andare avanti in questa guerra – conclude -. Qui c’è gente scappata da missili e fucili, con la vita in due sacchetti della spesa”.