La riforma del Titolo V, ovvero la paralisi delle amministrazioni pubbliche

Sarà stata anche la più grande riforma costituzionale dal 1948 ad oggi, ma quella del 2001 del Titolo V che attribuisce totale autonomia alle Regioni avrà anche avuto nelle intenzioni una spinta modernista e federalista, ma ha nella realtà dei fatti rappresentato la totale supremazia del potere burocratico di questo Paese e il conseguente indebolimento dello Stato.

Perché nei 20 anni trascorsi ormai da quella riforma è stato sempre più evidente quanto la modifica del Titolo V abbia sostanzialmente avuto due, gravi, conseguenze: sono state minate le fondamentali esigenze di certezza del diritto e abbiamo assistito inermi alla paralisi, spesso totale, del funzionamento delle istituzioni pubbliche.

In due parole: caos istituzionale. Perché al di là delle buone intenzioni, Stato e Regioni continuano a porsi come guelfi e ghibellini in lotta per la supremazia. Una guerra sulla pelle dei cittadini, specie in campo sanitario.

Faccio un esempio recente: l’avvio della campagna vaccinale anti Covid-19. Ogni Regione ha scelto il proprio sistema, le proprie piattaforme informatiche, le proprie liste d’attesa. Ma non tutto è andato per il verso giusto, con enti locali che hanno saputo far fronte alla mole di richieste e altri – emblematico l’esempio del Lazio di Zingaretti, che è anche segretario di uno dei due principali partiti di Governo – che sono andati in tilt. Creando uno squilibrio tra cittadini.

Inutile la proposta alle Regioni del commissario per l’emergenza Arcuri di utilizzare tutti la piattaforma unica delle Poste. Lo hanno ignorato tutti, Zingaretti in primis. Coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

L’autonomia regionale così come è oggi serve solo a creare disparità tra i cittadini che vivono in una parte o nell’altra del Paese.