di Andrea Molle
Tutte le democrazie mature occidentali si ispirano, chi più chi meno, al principio della separazione tra Stato e Chiesa, laddove per Chiesa si intende non solamente l’esperienza cristiana ma in generale la religione dominante o almeno prevalente nello Stato.
Tale principio, un pilastro della cultura occidentale che sancisce la netta separazione tra le sfere della politica e della religione non è tuttavia da considerarsi come “naturale”. Anzi, è facilmente dimostrabile come, sia nelle società antiche che in molti paesi non occidentali, politica e religione siano quasi completamente fuse l’una nell’altra, senza tuttavia che ciò comporti problemi di ordine pubblico. Tale separazione era originariamente intesa come una forma di protezione della religione dalle ingerenze della politica, mentre oggi la si intende quasi esclusivamente come il contrario.
Emergendo alla fine della Guerra dei Trent’anni e sancita dal Trattato di Westphalia, solo poco più tardi essa divenne il baluardo della laicità. Nel sistema post-westphaliano, che vide anche la nascita del concetto stesso di Stato Nazione che dunque riposa sulla piena autonomia della politica, la separazione tra Stato e Chiesa finì poi per evolversi in due modelli sostanzialemente opposti.
Il modello liberale angloamericano che, pur prevedendo una netta separazione tra le due, non rinnega la religione come un importante elemento dell’esperienza sociale e anzi tutela apertamente la possibilità per individui religiosi di essere attivi nella sfera pubblica o politica. Questa scelta ha permesso agli Stati Uniti di evolversi in un mercato religioso aperto che sebbene non certamente perfetto, nè privo di discriminazioni, tutela il diritto di ogni cittadino di praticare liberamente la propria religione e vederne i valori competere sul mercato delle idee. Non a caso negli Stati Uniti la religione non è che molto raramente la causa di conflitti civili o di violenza, perché essa può esprimersi liberamente.
A questo modello si contrappone quello statalista francese, che subordina la pratica religiosa allo Stato e ne proibisce le manifestazioni pubbliche considerandola implicitamente come un pericolo per la tenuta delle istituzioni democratiche. Il modello francese crea dunque una dicotomia artificiale tra cittadinanza e pratica religiosa che non esiste nel mondo angloamericano.
La religione viene vista come una reminescenza di un passato pre-illuminista destinata a scomparire, un fatto privato di cui in fondo vergognarsi. Questa falsa certezza, che riposa sulla teoria sociologica pseudo-scientifica e cristiano-centrica della secolarizzazione, ha di fatto inibito le possibilità di reazione del paese di fronte al ritorno della religione sulla scena pubblica. Anzi, sarebbe meglio dire che quella scena la religione non l’ha mai abbandonata davvero, ma ha solamente maturato rancore, forza e incisività nei decenni in cui è stata mortificata, repressa o anche solo ignorata.
In Francia, come abbiamo avuto modo di vedere, il ritorno della religione in politica si è oggi purtroppo manifestato con un incremento della minaccia terroristica islamista. Per l’Islam più radicale infatti il principio di separazione tra politica e religione è un vero e proprio attentato all’esistenza. Non deve cogliere di sopresa il fatto che sia proprio nella religione che il disagio delle seconde e terze generazioni di immigrati, fortemente delusi dall’esperienza fallimentari di integrazione in Francia come in molte altre nazioni europee, ha trovato un punto di forza. La Francia ha ignorato per troppo tempo la situazione di degrado socio-economico delle sue banlieu preferendo far finta di nulla. Allo stesso tempo ha cercato di imporre forzatamente la laïcité, spingendo nell’ombra la religione islamica invece di comprendere come questa, nelle sue forme moderate, avrebbe potuto mitigare il disagio.
Ciò ha fatto sì che i suoi praticanti, esclusi dalla competizione politica, non abbiano trovato altre strade che quella di radicalizzarsi per contrapporsi ad una società laicista che vedono come l’antitesi dei propri valori e la causa dei propri mali. Il fatto che il conflitto sia con l’Islam radicale, si badi bene, accade unicamente perché esso è la religione maggiormente praticata nelle fascie sottoprivilegiate della società francese. In altre circostanze, le violenze potrebbero facilmente coinvolgere i praticanti di una qualunque altra tradizione religiosa, perché il problema sta nel sistema sociale che provoca il conflitto: il laicismo esasperato che non distingue tra religiosità moderata ed estremismo.
La recente proposta di legge promossa dal presidente Macron, che prevede un radicale cambio di rotta e il principio secondo il quale l’educazione religiosa debba essere considerata e finanziata come un mezzo di dialogo interculturale e di integrazione, è stata un ottimo passo avanti, ma è arrivata, come si dice in America, too late and one dollar short (troppo poco e troppo tardi).
Per troppo tempo la Francia, ma anche il resto dell’Europa, ha ignorato che la religione, o meglio la religiosità, è parte integrante della condizione umana. Per troppo tempo ci siamo cullati nel mito che la religione fosse tutta cattiva e destinata a sparire, per far spazio alla sola ragione, chiedendo alla scienza risposte che non può darci. Anche oggi la prima reazione è stata quella di unirsi al coro della repressione, all’urlo di “basta religione”. Ma è proprio la repressione, più o meno velata, che ha creato il problema del radicalismo e non possiamo certo pensare che un problema si possa risolvere con la stessa logica che lo ha creato. La religione esiste e, per quanto ne sappiamo, esisterà sempre in una qualche forma.
Una cultura democratica matura non cancella una dimensione importante della vita dei propri cittadini solo perché non la riconosce o la disprezza. Dovrebbe invece integrarla, e creare le condizioni perché questa si possa esprimere al meglio, nel rispetto di tutti. È tempo di imparare la lezione e cambiare drasticamente la rotta, abbracciando il modello laico liberale angloamericano, proteggendo le istituzioni politiche dagli estremismi ma tutelando la libertà religiosa individuale in tutte le sue espressioni pacifiche, e creare finalmente le condizioni per un libero mercato religioso nel nostro continente.