Nell’ultimo anno, la politica del governo riguardo alle concessioni del demanio marittimo ha sollevato diverse preoccupazioni. La decisione di prorogare le concessioni, nonostante le sentenze che le hanno giudicate illegittime e le critiche del Presidente della Repubblica, ha innescato tensioni con la Commissione europea, che ha avviato una procedura d’infrazione.
Tuttavia, una soluzione alternativa potrebbe essere intraveduta attraverso l’applicazione della direttiva Bolkenstein del 2006. Questa direttiva consente di evitare gare per l’affidamento delle concessioni in presenza di risorse naturali sufficienti, come sembrerebbe essere nel caso delle spiagge italiane. Una valutazione tecnica ha indicato che solo un terzo delle spiagge è attualmente concesso, aprendo la strada a una soluzione legislativa che eviti gare per le concessioni già assegnate.
Tuttavia questa proposta, sebbene possa sembrare promettente, presenta alcune debolezze. Innanzitutto, ignora le condizioni stabilite dalla Corte di giustizia, che richiede criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati nella gestione delle risorse naturali. Questo implica che le decisioni del governo devono essere accuratamente ponderate e supportate da dati validi. Inoltre, la Corte di giustizia sottolinea la necessità di un approccio caso per caso basato sull’analisi del territorio costiero di ciascun comune, complicando ulteriormente il processo di esclusione delle gare in alcune località balneari.
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Vi è poi la questione che riguarda la sproporzione tra le entrate attuali dello Stato dalle concessioni balneari (appena 110 milioni di euro) e il volume di affari stimato in circa 15 miliardi di euro. Tale discrepanza solleva interrogativi sulla giustizia distributiva e la responsabilità del governo nel garantire un equo beneficio per la popolazione.
Se il Governo non intende, come ormai è chiaro a chiunque, aprire a nuovi bandi per le concessioni balneari, almeno eviti di peggiorare una situazione già tragica. Perlomeno intervenga sulla discrepanza economica tra gli introiti dello stato e quelli della piccola categoria iper-protetta dei balneari. Indirizzare una parte di quei soldi, guadagnati quasi esclusivamente grazie all’incapacità di un paese di pensare al bene dei consumatori, per il benessere di tutti i cittadini sarebbe il primo passo positivo in una storia che va avanti da troppo tempo, sempre allo stesso modo.