La democrazia liberale è ben altro, cara Giorgia!

Nella sua replica in Senato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che quelli di ieri alla Sapienza “non erano manifestanti pacifici”, ma persone che hanno “organizzato un picchetto per impedire a ragazzi come loro di dire quello che volevano dire. La democrazia è rispetto delle idee altrui”. E nel merito, sugli scontri violenti e sugli episodi accaduti, io non posso che darle ragione. Non si può in assoluto contrastare qualcuno che voglia parlare pacificamente in un’università. Non si può fare, è anti democratico. Quello che posso aggiungere però è che al ragionamento della Meloni manca un “pezzo”: lei tende infatti a giustificare qualsiasi cosa, qualsiasi logica della libertà di parola. La democrazia non è solamente questo, ma è un sistema valoriale.

Facciamo un esempio perché sia più chiaro: se un’organizzazione giovanile volesse protestare per la riapertura dei ghetti della comunità ebraica è qualcosa che non si può fare. Proprio perché esiste un sistema di valori che va assolutamente rispettato. Altrimenti si cade nel solito vizio della destra sovranista e populista che giustifica tutto con il consenso popolare. La democrazia liberale è oltre, è un sistema di valori e regole che vanno sempre difese. Tornando all’intervento di Meloni, beh, io credo che sia stato il suo una sorta di romanzo familiare. Ed è qualcosa che mi intristisce, forse ancor di più perché io vengo da quel mondo; ho vissuto tante vicissitudini, vari strappi ed evoluzioni. In realtà, la destra italiana con Alleanza Nazionale sta al governo del Paese da trent’anni a questa parte. Non c’è nulla di nuovo, al di là del fatto che oggi esprima il premier. C’avete fatto caso? Non fanno che riagganciarsi agli Anni Settanta, a tutta quella storia lì. È un racconto che è autoreferenziale. Senza entrare in maniera spiacevole su fatti ed eventi specifici, ma dal presidente del consiglio di una grande nazione come l’Italia, che arriva in Parlamento e fa il suo primo discorso, mi aspettavo un intervento di grande afflato internazionale, non l’autobiografia di una comunità, come loro dicono. Cosa ci vedo? Molto riscatto personale, ma ripeto la destra italiana non è una novità che governi, tant’è che nell’attuale esecutivo ci sono tanti ex ministri. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.

Lo stesso La Russa ha dovuto ribadire l’esperienza degli Anni Settanta. Il presidente della Camera, senza menzionarlo direttamente, ha citato ieri una frase di Almirante. Ecco, tutti un po’ sotto traccia stanno sottolineando quella storia passata, che adesso si starebbe riscattando, ma quella storia lì si era già riscattata nel 1995 con la svolta di Fiuggi. Stiamo andando indietro di trent’anni. Intendiamoci, io non critico – proprio perché ognuno è libero di fare quel che vuole, il mio percorso politico culturale l’ho fatto ormai distanziandomi totalmente da quel mondo – ma faccio fatica a comprendere. Non capisco tutta questa verve, questa forza, di rivendicare di avercela fatta.

Ce l’avevamo già fatta. Nel 2003, io sono stato autore, assieme a Luciano Lanna, di un libro “Fascisti immaginari”, un volume che indagava l’universo politico culturale delle destra italiana postbellica. Ricordo che lo presentammo a Roma, quando era sindaco Walter Veltroni. Di cosa parliamo dunque? Loro, e alludo a tutti questi ‘sacerdoti’ della destra sovranista, rimettono sempre nel dibattito quei passaggi, senza considerare che ormai questi ultimi non hanno più lo stesso peso. Le urgenze sono altre: la guerra in Ucraina, le bollette da pagare, l’inflazione galoppante. C’è una Nazione (uso questa parola, a cui non è che possono fare ricorso solo loro) da ricostruire, da rilanciare. Meloni &Co però ogni volta sentono l’esigenza del romanzo familiare, che sottolineo, se è familiare, non è un romanzo collettivo.