Lo scenario politico nel nostro Paese è sempre più confuso. Partiti e coalizioni sono più divisi che mai. Per l’elettore rimasto orfano delle antiche appartenenze si apre una stagione incerta ma anche carica di prospettive ed energie nuove se qualcuno saprà interpretare una offerta politica seria, fatta di visione e competenza.
Siamo davanti a una crisi irriducibile dei partiti italiani e del vecchio schema bipolare. Il centrodestra del passato ormai è uno zombie. Le polemiche degli ultimi giorni hanno aperto la definitiva spaccatura tra la destra di opposizione meloniana e il sovranismo ormai ridimensionato dal Salvini di lotta e di governo, mentre l’area liberale rappresentata un tempo da Fi rischia di implodere in mille pezzettini ognuno in cerca del suo ricollocamento.
Il centrosinistra come ‘campo largo’ semplicemente non esiste. Dal sostegno alla Ucraina ai termovalorizzatori, Pd e 5 Stelle si allontanano invece di avvicinarsi. Letta è sospeso, può scegliere la via riformista avvicinandosi alle forze liberaldemocratiche che rivendicano l’autonomia dalla sinistra e dai 5 Stelle oppure spiaggiarsi con Conte come probabilmente accadrà alle amministrative nelle grandi città.
E c’è l’incognita dei 5 Stelle: erano diventati il più grande partito italiano, una forza politica con numeri degni dei grandi partiti della prima repubblica; ora rischiano di fare la fine del campo stretto della sinistra statalista che, dagli ambienti più conservatori del Pd, ad Articolo 1 e Leu, mette vincoli al lavoro e si identifica col popolo del no a tutto. Il partito del governiamo con le mani in tasca.
La guerra scatenata da Putin, infine, ha complicato ulteriormente le cose. Rinsaldando l’asse gialloverde tra i pacifisti elettorali Salvini e Conte. Complicando ulteriormente la vita a Forza Italia dopo le sortite nostalgico putiniane del Cavaliere. Idem a sinistra tra il filonato Letta e il filo non si capisce bene cosa Conte. Insomma la situazione per i partiti italiani è la stessa di quando Mattarella preso atto della crisi di sistema chiamò Draghi per evitare il dissesto finale del nostro sistema politico.
Con Draghi, basti guardare a come il presidente del Consiglio ha gestito il recente viaggio a Washington, l’Italia ha riguadagnato un suo posizionamento internazionale. L’Europa ci chiede di fare le riforme, vero, ma a Palazzo Chigi c’è una persona che ha ben chiaro cosa vuol dire concorrenza, mercato, innovazione. È tempo però che attorno a Draghi si compattino i draghiani. Tutti quelli che credono nel Pnrr come una opportunità di crescita per il Paese e per il Sud. Tutti quelli che vogliono una Europa più forte e federale. Tutti quelli che pensano alla vittoria della Ucraina e alla sconfitta del mafioso regime russo.