Il muro di silenzio dietro al quale governi e trafficanti di uomini si nascondevano è caduto: a lungo la Corte penale dell’Aja pur avendo prove sui crimini contro le persone ha faticato a collegarli ai crimini di guerra commessi in Libia. Il mandato del Consiglio di sicurezza agli investigatori internazionali, infatti, circoscriveva l’azione della giustizia internazionale ai soli crimini di guerra commessi dal 2011, quando in Libia venne inseguito e ucciso il dittatore Gheddafi mentre scoppiava una guerra per la spartizione del Paese e delle sue risorse energetiche.
Ma ora il nuovo procuratore è chiaro. «Gli abusi contro i migranti possono essere qualificati come crimini di guerra e crimini contro l’umanità». A riportarlo, oggi, è il quotidiano L’Avvenire.
“Successivamente (dopo la data del 2011, ndr) l’Ufficio ha ampliato il focus delle attività di raccolta delle prove per riflettere l’evoluzione della portata delle presunte attività criminali che hanno avuto luogo in Libia e che rientrano nella giurisdizione della Corte. Ciò ha incluso, ma non solo, i crimini commessi nei centri di detenzione, quelli commessi durante le operazioni del 2014-2020 oltre ai crimini contro i migranti. Alcune di queste indagini sono in una fase avanzata”, si legge nel documento del procuratore della Corte penale riportato da L’Avvenire.
Decisivo per riuscire a compiere questo passo in avanti sono stati in particolare due esposti di gruppi di esperti e giuristi internazionali, secondo una delle norme della Corte penale che consente di sottoporre elementi di prova alla procura, chiamata poi a valutarne le consistenza. “L’Ufficio – si legge ancora – ha ricevuto una vasta gamma di informazioni credibili che indicano che i migranti e i rifugiati in Libia sono stati sottoposti a detenzione arbitraria, uccisioni illegali, sparizioni forzate, tortura, violenza sessuale e di genere, rapimento per riscatto, estorsione e lavoro forzato”. Perciò “la valutazione preliminare dell’Ufficio è che questi crimini possano costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra”, che dovranno successivamente essere valutati da una corte, quando dovesse essere istruito un processo.
Ma un paragrafo a parte viene dedicato a “due preziose comunicazioni ai sensi dell’articolo 15”, che appunto consente a organizzazioni di offrire un supporto alle inchieste. Pur non menzionandole direttamente, il dossier si riferisce a due gruppi di giuristi. Si tratta degli esposti firmati dal Centro europeo per i diritti umani e costituzionali (Ecchr) che ha lavorato con “Avvocati per la Giustizia in Libia (Lfjl) a la Federazione internazionale per i Diritti umani (Fidh).
Nello stesso periodo un’altra circostanziata denuncia è stata ammessa dalla corte. È firmata da vari giuristi, italiani e internazionali, della rete “UpRights/Adala for All/Strali”. In particolare la lunga comunicazione alla corte di “Uprights” si basa su molte delle inchieste di “Avvenire”, citata agli atti della Corte penale internazionale. I giuristi, anche attraverso una rete di legali in Libia, hanno trovato una quantità sconcertante di conferme circa il ruolo della cosiddetta guardia costiera libica e di alcuni suoi ufficiali, tra cui il maggiore al-Milad (Bija) e le connessioni di questi con i più potenti gruppi criminali nel Mediterraneo.
Tutte le accuse sono state passate al setaccio, poiché, come ricorda la Corte, “queste comunicazioni sono soggette a un esame e a un’analisi approfonditi al fine di determinare la rilevanza delle informazioni presentate rispetto alle principali linee di indagine”.
In entrambi gli esposti vengono denunciati i governi europei, e specialmente quello italiano, per le opache prassi di cooperazione con funzionari libici coinvolti in indagini internazionali per traffico di esseri umani, contrabbando di carburante, armi e sostanze illecite.