Ius soli, una battaglia di civiltà che va affrontata senza demagogia

Il Comune di Bologna nei giorni scorsi si è portato avanti su una materia spinosa che sarà oggetto di dibattito parlamentare a partire da oggi: il cosiddetto Ius Scholae, cioè l’attribuzione di cittadinanza al minore che soggiorni legalmente in Italia e qui abbia concluso almeno un ciclo di studi di cinque anni. La giunta Lepore, infatti, ha deciso di inserire nello statuto del Comune una sorta di ius scholae onorario: l’Amministrazione conferirà la cittadinanza simbolica ai minori nati in Italia da genitori stranieri che integrano i due suddetti requisiti.

Si tratta di un passo importante che, seppur onorario, potrebbe segnare una svolta culturale. Tanto più che, come detto, in queste ore alla Camera si discute una proposta di legge in materia, tarata sugli stessi parametri ma che, a differenza di quella di Bologna, è anche giuridicamente vincolante.

Una battaglia di civiltà che nelle intenzione dei proponenti è diretta a consentire ai figli minori di immigrati (che lo richiedessero, essendo escluso ogni automatismo) di potersi sentire pienamente italiano quando hanno dimostrato la legale permanenza sul territorio e un grado di scolarizzazione all’interno del sistema nazionale di istruzione sufficiente.

Insorge la destra sovranista, con Meloni e Salvini che alzano le barricate. Salvini – che notoriamente di queste cose poco capisce – sostiene che il solo compimento del ciclo scolastico non sarebbe sufficiente a far comprendere all’interessato se “l’Italia è veramente il proprio paese” e che pertanto bisognerebbe attendere almeno i 18 anni. Certo, come no! Magari perché non direttamente la pensione?

Il tema – al netto delle derive estremiste – è molto serio e per quanto si presti ahimè alla facile propaganda (da un lato e da un altro), merita di essere trattato con la dovuta attenzione. Si parla di integrazione dei minori stranieri che ambiscono a sentirsi pienamente parte della comunità nazionale. Un diritto certo, ma anche la disponibilità all’adempimento dei doveri che richiede l’acquisizione della cittadinanza. Una sensibilità che, a giudizio di chi scrive, un corretto grado di istruzione oltre che un pieno inserimento in condizioni di parità nella comunità può senz’altro aiutare a sviluppare, senza complessi di inferiorità e senza percepirsi come “persone di serie B”.

Dirimente è il requisito della permanenza sul territorio italiano in condizioni di legalità che, da solo, dovrebbe stemperare le critiche dei sovranisti che però evidentemente, coprono ben altre motivazioni. “Coprono” si fa per dire, perché si tratta di pretesti tutt’altro che occulti e privi di contenuto, come ben si evince pure dalla strategia parlamentare adottata. Lo chiarisce Igor Iezzi (Lega) che confessa candidamente: nell’impossibilità di bloccare il provvedimento lo ritardiamo il più possibile. Che statista!! E comunque, sono stati presentati ben 700 emendamenti con questo intento procastinatorio, combattendo una battaglia ideologica sulla pelle dei minori. Ma qualche tempo fa, la premiata ditta Salvini-Meloni non diceva che i minori non erano sempre da tutelare? Insomma, alcuni di loro erano quelli del “parlateci di Bibbiano” tanto per intenderci! Già in commissione Affari Costituzionali alcuni di questi emendamenti – cosiddetti “burla” – sono stati bocciati. Si ricordano emendamenti particolarmente profondi come la concessione della cittadinanza subordinata a un esame in sagre popolari, oppure a un esame su canzoni popolari e sui vestiti romani. Mancava solo l’esame sui programmi della D’Urso e poi c’erano tutti.

Questo è il livello – bassino, direi – della destra sovranista che si conferma anche a sentire quali sarebbero i timori più seri. Fra tutti spicca la paura dell’introduzione della sharia a seguito del provvedimento, come se le due cose fossero collegate. Ripeto, il livello è questo, tanto di più non ci possiamo aspettare, ma qui si sfiora davvero il ridicolo e si accede all’imbarazzante. Stupisce, ma non troppo, che (anche su questo), Forza Italia non riesca a smarcarsi dall’abbraccio mortale con i soci di coalizione; si mormora che il partito di Berlusconi sia diviso, ma in verità è solo Renata Polverini che spinge per un SI chiaro e netto allo ius scholae. Altra occasione persa per la destra sedicente liberale. Che tristezza!

Superfluo dire che nessuna delle obiezioni opposte a questa legge – che pure rappresenta un punto di caduta sostanziale, in quanto molto più “light” rispetto allo “ius soli” – ha un qualche senso compiuto, tantomeno un minimo fondamento giuridico. Si tratta solo di una battaglia ideologica dal sapore tendenzialmente razzista. Niente più e niente meno.
Peraltro, a sanare ogni timore (salvo quelli da reparto psichiatria) la legale permanenza del minore in Italia sta a significare che pure i genitori debbono integrare questo parametro: quindi si tratta di persone che lavorano, pagano le tasse, contribuiscono al welfare nazionale, e hanno il permesso di soggiorno (o titolo equivalente) in regola. Non dei pericolosissimi criminali d’importazione contro cui chiudere i porti e agitare improbabili blocchi navali.
E, se si tratta di persone regolari, non si comprende quindi per quale motivo doverne ostacolare il percorso di piena integrazione, a maggior ragione se si tratta di minori.
Peraltro gli italiani di seconda generazione che si sentono tali e vorrebbero coronare questo sogno anche “sulla carta” sono tantissimi, e talvolta danno pure lustro al Paese (si pensi ad alcuni atleti che recentemente hanno proprio marcato questo problema).
Insomma, una legge che abbia come effetto quello di semplificare il percorso e agevolare l’integrazione di chi si sente italiano ma non lo è solo per vai dei tortuosi percorsi burocratici non può che esser salutato con favore. E francamente il muro ideologico della destra sovranista è indegno in un paese civile.