Italia Viva e Azione, oltre alla federazione serve di più

I sondaggi vanno presi per ciò che sono: tendenza, orientamenti. Per questo credo che sia giunto il momento di dirsi le cose fuori dai denti. I sondaggi ci dicono che il terzo polo è già in fase di stallo, se vogliamo è già finita, sempre ammesso che sia iniziata, la così detta luna di miele con gli elettori.

Affermare che siamo lo zero virgola qualcosa sopra Forza Italia è un’affermazione più di valore statistico che politico. Se siamo allo stallo la colpa non è dell’oscurantismo del sistema informativo ma per il semplice fatto che ieri come oggi e sempre più per il futuro gli elettori impongono e imporranno la ferrea legge della coerenza tra il dire e il fare. Ci può piacere o meno ma questo è un dato di fatto che per chi vuole fare politica non può essere considerato in fasi alterne a seconda della convenienza del momento.

O è la regola o non lo è, non ci sono terze vie. Nelle settimane di campagna  elettorale non abbiamo fatto altro che ripetere che non avevamo fatto una lista elettorale, che si trattava di un nuovo inizio che guardava oltre la sommatoria dell’esistente e che dal 26 in poi si sarebbe lavorato alla fase costituente del nuovo soggetto Renw Italia. Io insisto nel dire che il risultato elettorale è direttamente proporzionale alla percezione da parte degli elettori che si faceva sul serio e niente era specchietto per allodole. Percezione di chi ci ha votato, percezione di chi ancora è rimasto alla finestra in attesa di segnali ancora più espliciti. In questo senso il risultato ottenuto, oltre due milioni di voti, è enorme nelle condizioni date.

Le elezioni quindi hanno dimostrato che c’è un contesto sociale favorevole alla nascita di un nuovo partito liberal-democratico effettivamente equidistante da destra e sinistra per rappresentare la reale alternativa al bi-populismo, al fine di rivolgersi con credibilità a tutti gli elettori, nessuno escluso. L’esperienza del Governo Draghi ha squadernato una parte di società civile da troppo tempo silente e rassegnata. Si è come risvegliata una voglia di partecipazione che bisogna assolutamente includere e valorizzare. È giunto il tempo di creare le condizioni perché gli spettatori si trasformimo in attori di un processo costituente. Questo però impone che ogni singolo passaggio, ogni singola affermazione deve essere coerente con ciò che in campagna elettorale abbiamo affermato.

È sul grado di coerenza prima di ogni altra cosa che si verrà giudicati dagli elettori tutti. I sondaggi ci dicono che il pur apprezzabile richiamo alla competenza e al pragmatismo è già visto come parziale e insufficiente. L’adesione di Azione al PDE di cui Italia Viva fa già parte è indubbiamente un passaggio importante così come costituire i gruppi parlamentari unici, ma per noi “addetti ai lavori”. Gli elettori non li possono percepire tali non perché in preda a pulsioni populiste e sovraniste ma semplicemente perché vuol dire tanto come poco e nulla perché rinvia tutto a passaggi successivi. Oggi dalle parti di Azione e Italia Viva si sente sempre meno parlare di partito unico e sempre più di federazione. La semplice “federazione” rappresenterebbe una soluzione debole e parziale finalizzata più che altro alla messa in sicurezza delle classi dirigenti di Italia Viva e Azione ma questo è ciò che gli elettori non hanno votato.

Non ci sono scorciatoie, la costituzione di un nuovo soggetto politico presuppone lo scioglimento dei partiti che lo generano se vogliamo coinvolgere un pubblico ampio, ben oltre il perimetro di Azione e Italia Viva specialmente guardando a quella parte di Paese che produce, che vuole competere nel mercato globale e che chiede non solo rappresentanza e interlocuzione ma anche uno spazio in cui impegnarsi direttamente.

Una formula organizzativa moderna che fa dell’inclusione la stella polare affinché persone con esperienze e provenienze diverse partecipino all’elaborazione della visione e possano concorrere alla determinazione della leadership più coerente col progetto politico.

La federazione non è niente di tutto questo, essa si rivolge esclusivamente ai partiti piccoli o grandi che siano, il cittadino che non è iscritto a nessuno di essi è escluso a meno che non decide di procedere ad una adesione ad uno di essi che la concepisce come parziale e peggio ancora come forzata. È un problema anche di linguaggio spicciolo tra Italia Viva e Azione. Quando l’uno si rivolge all’altro è sempre un “noi” e “voi” mai un noi inteso come un insieme. Quando qualcuno partecipa a qualche trasmissione è presentato come l’esponente dell’uno o dell’altro e questa è responsabilità del conduttore televisivo ma da parte di chi partecipa non c’è nessuna iniziativa tesa a correggere l’immagine data.

Serpeggia la sensazione che, come dice il vecchio detto, si sia fatto il passo più lungo della gamba. Proviamo a esorcizzare il “maligno” rappresentato dalla retorica politica del “tutto cambi perché nulla cambi” ma è dura specialmente sui territori dove la qualità del ceto politico non è altissima.

Poi c’è il linguaggio della politica. Ascoltando l’interventi di Calenda e Renzi al congresso del PDE si percepisce il netto distacco tra il dire e il fare. Se alle elezioni europee arriviamo come federazione con l’aggiunta di+Europa poco conterà se la federazione si chiamerà Renew, il risultato sarà modesto. Nell’ascoltarli ho cercato di immedesimarmi in uno di quei due milioni e più di elettori cercando di capire quale sarebbe stata la sua reazione a sentire disquisire tra liberale progressista, liberale classico, tra un generico “i veri riformisti siamo noi e le critiche, per carità più che giuste, all’estremismo di destra italiano ed europeo.

C’è anche in noi una ritualità asfissiante della politica, un rivolgersi più agli addetti ai lavori che al comune cittadino. Immagine che in campagna elettorale invece non avevamo dato e che ha inciso positamente sul risultato.

Io penso che chi ci ha votato vuole un partito liberale (anche l’aggettivo democratico è pleonastico) che si opponga allo statalismo e burocraticismo dilagante, al giustizialismo, all’assistenzialismo, allo sperpero di denaro pubblico, che metta al centro l’impresa essendo il luogo dove si crea ricchezza, che faccia valere il merito e la competenza per rimettere in moto l’ascensore sociale, la concorrenza come garanzia di qualità oltre che di efficienza, l’equilibrio tra diritti e doveri, l’uguaglianza delle opportunità, la solidarietà connessa alla sussidiarietà. Un partito unito sui valori ma contendibile internamente sulle strategie, in pratica un vero partito democratico.

Aprire la fase costituente non è come prendere un megafono e dire “venghino signori venghino” come ad una fiera. È un intreccio complicatissimo tra realtà e sensazioni, che va costruito giorno per giorno dove davanti a noi c’è un nemico implacabile: il tempo.