La burocrazia soffoca anche i Comuni, soprattutto quelli di piccolissima dimensione. Tuttavia, a pagare il conto più salato sono i cittadini che devono sostenere un costo aggiuntivo pro capite pari a 251 euro all’anno, che, in termini complessivi, sfiora i 14,5 miliardi di euro. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della Cgia per conto dell’Asmel. Infatti, per poter ottemperare agli adempimenti richiesti dal legislatore e alle disposizioni/procedure fissate dai ministeri, è necessario utilizzare molto personale e impegnare tanto tempo che, invece, potrebbero essere investiti più proficuamente per erogare ulteriori servizi, in particolar modo a cittadini e imprese.
Nel dettaglio, le amministrazioni comunali più piccole (fino a 5mila abitanti) registrano il costo più elevato (344 euro pro capite); seguono i municipi con oltre 60mila abitanti (259 euro) e quelli con classi demografiche intermedie (238 euro per i Comuni tra 5 e 10mila, 212 fra 10 e 20mila e 208 fra 20 e 60mila). Il quadro a tinte fosche è firmato dagli esperti dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Ma il j’accuse non giunge nuovo, considerato che le associazioni di imprese denunciano da anni il livello di oppressione burocratica che blocca il Paese: ogni anno il gigantesco moloch costa alle imprese italiane 57,2 miliardi. Una vera spoliazione di risorse che così risultano sottratte a investimenti, occupazione e, dunque, Pil. Una parte di “colpa” di questo stato di cose è certamente delle troppe norme – in Italia 160mila, di cui 71mila a livello centrale, mentre in Francia sono solo 7mila, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3mila – che spesso si sovrappongono tra loro, ma dietro questa macchina infernale c’è anche ben altro.
Il fattore tempo fa la sua parte in questo caos. Che sia per una carta di identità o un certificato, un’autorizzazione o l’avvio di un’attività imprenditoriale, le attese sono da panico. Il contatore della Cgia o quello di altri centri studi misura le lungaggini non in giorni, ma in anni per ogni singola tipologia di pratica. Dunque, al di là degli annunci, la digitalizzazione della Pubblica amministrazione resta, appunto, su carta.
E la “paura della firma” denunciata da Mario Draghi all’inizio del suo governo, continua a essere un ulteriore elemento di disfunzionalità: è diffusa la tendenza dei dirigenti pubblici a rinviare lo sblocco di una procedura di fronte al timore di essere chiamati a rispondere per la firma apposta sull’atto. Il risultato finale, però, è che tra cavilli, paure e rinvii, l’Italia resta ancora prigioniera di una trappola di scartoffie.