Fiamma Nirenstein ha scritto il suo ultimo saggio «Jewish Lives Matter» nei giorni successivi all’ennesima aggressione subita da Israele con il lancio di migliaia di razzi dalla striscia di Gaza verso i civili a maggio del 2021. Un libro venuto fuori «di getto» a Gerusalemme, fra una sirena antiaerea e una corsa al più vicino sotterraneo per nascondersi. «Ero arrabbiata, mentre lo scrivevo di getto, circondata da un mucchio di fogli sparsi, con accanto i libri scritti da me e quelli di altri autori che come me si sono occupati di antisemitismo nel corso degli anni. Anni in cui l’antisemitismo sarebbe dovuto sparire, e invece è cresciuto e si è fatto esplicito…», è la dolorosa riflessione con cui si apre il volume, che affronta appunto la tragedia dell’antisemitismo.
In meno di 130 pagine la studiosa ed esperta della realtà mediorientale ha svelato i meccanismi più subdoli che sono alla base di chi, mentre per le strade evoca pace e giustizia, accusa Israele, e più in generale gli ebrei, di colonialismo, di violenza gratuita, di apartheid, e difende un’organizzazione fondamentalista come Hamas. «La mia rabbia è nutrita dal dolore: ho già spiegato in lungo e in largo come l’antisemitismo sia diventato odio per Israele, ma questa è la prima volta che vedo i miei stessi amici cadere in preda di un alieno spirito antisemita, uno spirito che si è fatto strada in loro proprio in nome delle buone cose in cui credono: i diritti umani», le parole di Fiamma Nirenstein. Jewish Lives Matter è libro impegnato, una sfida coraggiosa.
Proprio perché la scrittrice scoperchia le roccaforti ideologiche strenuamente sorvegliate da chi «non farebbe male a una mosca» e si riempie la bocca di parole come diritti umani, uguaglianza, libertà. È sbagliato credere che l’antisemitismo appartenga a pochi, è invece come una polvere sottile che si insinua in tante riflessioni, in troppe conclusioni. Ed è qualcosa di dannoso, nocivo, che non risparmia il pensiero di nessuno, nemmeno quello di chi pensa di essere dalla parte giusta della Storia.
«Nella cultura occidentale odierna l’antisemitismo più estremo, ovvero il desiderio di veder sparire gli ebrei dal mondo, trova le sue ragioni in un castello di menzogne costruite intorno alla figura dell’ebreo come oppressore. È il modo postmoderno di giustificare l’odio più antico», scrive ancora la Nirenstein. La convinzione di quest’ultima è che serva insistere su «una presa di coscienza generale», non in nome di una pace «ideologica e fittizia, violata già tante volte», ma come una realtà concreta.