di Nicola e Gabriele Iuvinale
Una recente decisione della Cassazione spalanca le porte ad una valanga di cartelle ingiuste a carico di famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica
Tutti conosciamo l’IMU, l’imposta Municipale Propria (ex ICI).
Le sue caratteristiche principali sono:
L’IMU, introdotta nel 2001 dal D.L. 201/2011, attualmente è disciplinata dai commi 738 e segg. della Legge 27 dicembre 2019, n. 160.
In particolare, il vecchio art. 13 comma 2, del DL 201/2011 precisava che “Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unita’ immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.”
Si stabiliva, inoltre, che “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.
La stessa identica definizione viene oggi riportata nel comma 741 lett. b) della L.169/2019.
In pratica, la famiglia non paga l’IMU sull’immobile in proprietà se vi risiedono e dimorano, abitualmente, il proprietario ed il suo nucleo familiare.
Se i coniugi possiedono due case nello stesso Comune ed ognuno risiede e dimora stabilmente nella propria, solo un immobile potrà beneficiare dell’esenzione.
Per interpretazione costante del Ministro delle Finanze, se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno risiede e dimora stabilmente nel proprio, entrambi gli immobili possono beneficiare dell’esenzione IMU.
E ciò, anche per ragioni umane, legate, ad esempio, alla necessità di “dividere” la famiglia per esigenze lavorative.
Tale orientamento è stato sempre sostenuto dal MEF sin dal 2012, sul presupposto della mancanza di disposizione normativa contraria, della specialità della legge IMU e del suo divieto di applicazione analogica, come stabilito anche dalle preleggi del codice civile.
Infatti, nella Circolare 3/DF del 18 maggio 2012 si precisa che
Questa interpretazione, è anche confermata dal MEF nelle FAQ Mini IMU e Maggiorazione Tares risposta a quesiti del 20 gennaio 2014.
Tali osservazioni sono state sempre recepite nella recente giurisprudenza di merito, tra le quali basta citare la C.T.P. di Bologna, sez. 1, n. 441 del 22 marzo 2017 che conferma l’interpretazione del MEF e propone, addirittura, una interpretazione costituzionalmente orientata:
Con una recente ordinanza della Cassazione del 24.9.2020 n. 20130, però, si ribalta completamente l’interpretazione della norma con un provvedimento che ha, a dir poco, dell’incredibile!
La Cassazione, infatti, contrariamente al MEF, statuisce che:
In parole povere, la Cassazione ha stabilito che se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno di essi risiede e dimora stabilmente nel proprio, nessuno dei due immobili può beneficiare dell’esenzione IMU sul presupposto che il beneficio è utilizzabile solo se il possessore, e il suo nucleo familiare, dimorino stabilmente e risiedano anche anagraficamente nella stessa casa.
Il tutto, non solo in contrasto con l’interpretazione costante del MEF (sopra richiamata), ma addirittura anche con i principi generali dell’ordinamento giuridico.
Infatti, non vi è una disposizione normativa che preveda espressamente quanto stabilito dalla Cassazione essendo, invero, previsto solo se i coniugi risiedono nello stesso comune ex art. 13 comma 2, del DL 201/2011 e comma 741 lett. b) della L.169/2019, limitato, però, ad un solo immobile.
La Cassazione, in pratica, sulla base di una interpretazione parziale del comma 2 del DL 201/2011 ed omettendo di riportare e commentare la restante parte della disposizione (che invero prevede una fattispecie differente), fornisce una esegesi distorta della norma, finendo per introdurre, forzosamente, nell’ordinamento giuridico una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge.
I Giudici, quindi, “si sostituiscono d fatto al legislatore” e al MEF.
Si crea, in tal modo, son solo un contrasto tra i poteri dello Stato, ma addirittura si contravvenire la Costituzione perché in discordanza con il principio di legalità stabilito dall’art. 23 Cost. secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a una legge”.
In violazione, dunque, sia della legalità formale – per mancanza di una specifica disposizione di legge (cosiddetta costituzionalità formale) – ma anche sostanziale – perché il contenuto parrebbe non conforme ai principi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale) cui agli artt. 29 e 53 della Costituzione.
Infatti, l’art. 29 stabilisce che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” e l’art. 53 dispone che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”.
Inoltre, i Giudici, introducendo forzosamente una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge e non plasmabile nell’ordinamento per effetto interpretativo, finiscono anche per porsi in contrasto con l’art. 14 delle preleggi. Principio riportato dalla C.T.P. di Bologna citata, secondo cui
Una interpretazione, questa, difficile da comprendere ed accettare ed alla quale bisognerebbe subito porre rimedio sul piano normativo per evitare una “pandemia” di accertamenti ingiusti – che retroagirebbero di cinque anni per entrambi i coniugi – contrari anche al principio di buona fede e di affidamento dei contribuenti.
Questa situazione finirà per mettere in enorme difficoltà tante famiglie oggi costrette ad entrate ridotte e difficoltà lavorative per cause a loro non imputabili.
Il soggetto passivo dell’imposta, poi, avendo fatto ragionevole affidamento sulla legislazione IMU e sulle circolari ministeriali, si vedrebbe ingiustamente applicare anche sanzioni ed interessi, senza colpa.
In base alla pronuncia della Cassazione in questi giorni alcuni Comuni, in tutta Italia, stanno preavvisando i cittadini sull’invio di accertamenti tributari.
Alcune amministrazioni motivano la scelta poiché, a loro dire, potrebbero risponderne dinanzi la Corte dei Conti in caso di inerzia.
Insomma il solito scaricabarile.
Chi deve farsi subito carico della soluzione del problema?
Data la grande platea degli interessati, indubbiamente il decisore politico attraverso un legge ad hoc che ha valenza erga omnes; poi la Corte Costituzionale ad esempio con sentenza correttiva (pur non comprendendosi i motivi della mancata rimessione, in tanti anni di contenzioso, alla Corte stessa).
Infine si potrebbe anche pensare ad un interpello disapplicativo ex art. 11, comma 2, Statuto del contribuente da parte del singolo cittadino.