Reato di tortura, perché serve. E perché chi non lo vuole “è complice”

Parlano di rivedere il reato di tortura. Proprio ora che gli accadimenti ultimi fanno invece ritenere che ci sia proprio un gran bisogno di una simile fattispecie di reato. Impedirebbe alle forze di polizia di fare il proprio lavoro, si dice. Ma quale lavoro? La sicurezza sociale? Il controllo del territorio? Ma cosa c’entrano queste legittime esigenze con certi comportamenti che uno Stato di Diritto non può non identificare come abusi? E, anzi, proprio gli stessi appartenenti ai vari Corpi dovrebbero isolare e allontanare chi li mette in pratica, come del resto accaduto a Verona. Perché mai dovremmo non fidarci di una certa Magistratura, che strumentalizzerebbe alcuni accadimenti e invece credere ciecamente a quanto fa e racconta una forza di polizia?

Di fronte ad evidenze o denunce circostanziate, i fatti vanno indagati, accertati ed eventualmente perseguiti a norma di legge. Non ci può essere una presunzione di non colpevolezza sol perché i fatti sono avvenuti in occasione di un fermo o di un arresto ad opera di un operatore che indossa una divisa. È esattamente il contrario. Chi la indossa deve dimostrare di farlo in modo fiero, consono e deve essere consapevole del grande compito e della grande responsabilità che riveste e che esercita. Senza scorciatoie a cui appellarsi o scusanti da pretendere. Bene allora il codice identificativo che non va vissuto come un’onta o una limitazione ma come opportunità, garantendo esso chi ha operato correttamente, soprattutto nelle situazioni più a rischio, e bene la bodycam che garantisce tutti, operatori in divisa e cittadini.

Il nostro Paese è una democrazia, terra di diritto e di civiltà da preservare, in cui tutti devono avere ed esprimere la propria voce, prendendo su di sé le conseguenze di comportamenti sbagliati che andranno indagati ed accertati. Tutti.