Il paradosso nucleare: l’Italia tra passato incompiuto e futuro incerto

È possibile parlare di ritorno al nucleare in un paese che non è ancora riuscito a smantellare le vecchie centrali e, unico in Europa, a non avere un deposito nazionale delle scorie radioattive? In questi giorni, Carlo Calenda con Azione ha lanciato una importante petizione a favore del ritorno al nucleare del nostro paese. Tuttavia, prima di guardare al futuro, molti sono i nodi da sciogliere sul tema, a partire dalle scorie radioattive.

In Italia, un deposito nazionale di scorie nucleari è necessario da decenni, con un processo decisionale che è stato ed è ancora quanto mai complesso. Sono 67 le aree potenzialmente idonee individuate, dopo un percorso durato anni, dalla Sogin (Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) nel rispetto di indicazioni europee molto dettagliate.

Tutti i territori sono insorti, tutte le regioni coinvolte si sono opposte, senza differenza di colore o geografia. Tutti dichiarano non ragioni egoistiche, di Nimby o contrasto politico, ma geologiche, morfologiche, agricole, turistiche, ecc. In sintesi, in Italia si preferisce lasciare i depositi radioattivi (in larga parte provenienti da rifiuti ospedalieri) a cielo aperto, anziché in un deposito sicuro, sostenibile, indispensabile per il rispetto dell’ambiente, e che con 1,5 miliardi di euro di investimento pubblico darebbe lavoro a 2 mila persone.

L’argomento è di estrema delicatezza e molti partiti preferiscono non parlarne. Ma la realizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi è senza dubbio necessaria, perché permetterà di sistemare in via definitiva questi rifiuti, al centro di una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro Paese, e attualmente stoccati in una ventina di siti provvisori non idonei ai fini dello smaltimento definitivo.

Che fine ha fatto Sogin e il deposito di scorie nazionali? L’Italia è uno dei pochi stati a non averlo, spendendo circa 60 milioni di euro all’anno per portarli in Francia e Inghilterra, e questo stoccaggio è solo temporaneo. I rifiuti infatti, momentaneamente depositati oltralpe, dovranno rientrare in Italia entro il 2025

Il governo guidato da Mario Draghi ha commissariato Sogin per la “necessità e urgenza di accelerare lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, la gestione dei rifiuti radioattivi e la realizzazione del deposito nazionale”, come si legge nel provvedimento. Con il governo Meloni, tuttavia, Sogin si è arenata. L’esecutivo infatti deve trovare ancora i nomi per rinnovare i vertici e accelerare sul progetto di costruzione del deposito nazionale delle scorie.

Meloni si è incontrata qualche
giorno fa con Macron e chissà se il Presidente Francese le abbia ricordato che l’Italia si è impegnata a riprendersi le 235 tonnellate di rifiuti atomici ad alta e media intensità che ha stoccato in Francia entro il 2025. È certo che Giorgia Meloni e il suo governo sono ancora alla ricerca della località dove costruirlo e che entro quella data l’impianto dove trasferire le scorie non sarà pronto.

Macron ha detto chiaro e tondo che non conserverà ancora i rifiuti atomici italiani, né ne accetterà di nuovi, se Roma non darà una data certa sul completamento del deposito dei rifiuti nucleari. Ad oggi, quello che sappiamo è che Sogin ha molti problemi da risolvere, dagli appalti per la messa in sicurezza delle quattro ex centrali nucleari, ai cinque impianti legati al ciclo del combustibile e al reattore di ricerca dove oggi sono collocati, temporaneamente, i rifiuti della filiera dell’atomo.

La situazione paradossale italiana è tale che, mentre si riaffaccia l’idea di tornare al nucleare, siamo ancora alle prese con la revisione del piano di smantellamento nucleare, che si sarebbe dovuto completare entro il 2035 ma dall’ultimo aggiornamento ha accumulato ritardi. E i guai per Sogin non sono finiti perché d’ora in poi dovrà fare affidamento solo su 400 milioni di trasferimento annuo dalle casse dello Stato mentre prima attingeva da tutti gli Italiani che la finanziavano con una voce della bolletta elettrica. E tutto ciò a non parlare del braccio di ferro con i lavoratori e delle proteste animate dalla CGIL.

Non sappiamo se nel futuro dell’Italia ci saranno nuovamente le centrali nucleari, ciò di cui siamo certi è che almeno per i prossimi venti anni saremo alle prese con il loro smantellamento…