Kiev – «Avete il mondo dalla vostra parte, tutto questo deve essere visto e conosciuto». Quando il premier italiano Mario Draghi pronuncia queste parole l’allarme anti-aereo ad Irpin è appena terminato. Insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco Olaf Scholz, è giunto in treno per far sentire tutto il calore dell’Unione Europea all’Ucraina, martoriata da un’invasione che va avanti ormai da oltre 100 giorni. I tre leader hanno visitato la città nel distretto di Bucha pesantemente colpita dagli attacchi delle forze armate russe. Ne sono rimasti sconvolti: «Qui è un luogo di distruzione ma anche di speranza. Molto di ciò che mi hanno detto riguarda il futuro e la ricostruzione. È un popolo che è stato riunito dalla guerra, che può fare cose che forse non avrebbe potuto fare prima della guerra», ha commentato Draghi ai giornalisti al margine della visita. «Purtroppo ci sono stati massacri perpetrati a Bucha e in altre città, sono crimini di guerra», ha aggiunto il presidente francese Macron. Scortati dai militari ucraini e dalle autorità locali, i leader europei hanno camminato tra le macerie della cittadina, guidati da Oleh Bondar del servizio statale di emergenza e Oleksiy Kuleba, capo dell’amministrazione regionale militare di Kiev.
Dopo la visita a Irpin i leader europei si sono recati dal presidente ucraino Zelensky, che si è detto felice della solidarietà ricevuta: «Giornata impegnativa, incontri importanti. È un piacere incontrare il presidente Macron, il cancelliere Scholz, il primo ministro Draghi e il presidente Iohanniss a Kiev. Apprezziamo la vostra solidarietà al nostro paese e popolo», ha scritto su Telegram. In visita separata è giunto a Kiev infatti anche il presidente della Romania Iohannis. Nell’ambito dell’incontro è stato reso noto che Zelensky parteciperà al prossimo G7. Un segnale importante. Intanto dal Cremlino il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha asserito di «sperare» che a Kiev Macron, Draghi e Scholz «non si concentreranno solo sul sostegno all’Ucraina riempiendola ulteriormente di armi». Lo stesso ha detto di augurarsi che i politici europei «utilizzino il contatto per incoraggiare il presidente Zelensky a guardare davvero allo stato delle cose».
Le solite minacce che arrivano da Mosca. Non solo: il Vice Presidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, tirando in ballo gli stereotipi più triti su Francia, Germania e Italia ha insultato i tre leader europei. «Agli europei, grandi mangiatori di rane, salsicce e spaghetti, piace visitare Kiev. Inutilmente. Hanno promesso l’adesione dell’Ucraina all’Ue e obici datati, si ubriacano di horilka, tornano a casa in treno, come cento anni fa», il messaggio al vetriolo dell’ex premier che si commenta da sé, tanto è disgustoso. I diretti interessati hanno scelto come miglior risposta il silenzio. I tre sono consapevoli del peso di questo viaggio: sul tavolo due dossier sembrano avere la precedenza su tutti gli altri, il futuro ingresso di Kiev nell’Unione Europea e la possibilità di ulteriori sanzioni alla Russia nel caso in cui Putin non voglia saperne di negoziati.
Non vogliamo farci alcuna illusione, nessuno si aspetta un miracolo o chissà quale soluzione improvvisa, ma è fuori discussione che la visita congiunta a Kiev di Draghi, Macron e Scholz, abbia un forte peso simbolico; che rappresenti di fatto già una vittoria dell’Unione Europea. È l’ennesimo importante messaggio di unità che i 27 stati membri hanno fatto avere all’indirizzo di Putin, sempre più solo nel suo folle piano di guerra contro l’Ucraina. Roma, Parigi e Berlino si sono mostrate allineate (con tutte le divergenze di vedute, si intente), come forse mai prima d’ora: la foto che mostra i tre leader europei sul treno, a suo modo, resterà nella storia. La ricorderemo tutti come l’immagine realizzata sul convoglio che ha attraversato il confine della Polonia all’altezza di Przemysl per poi arrivare, undici ore dopo, a Kiev, per dare un tangibile segno di apertura, di speranza. Perché è vero che talvolta la forma è sostanza, Draghi l’ha fatto capire in questi mesi di governo. Anche i suoi detrattori non potranno negarlo: senza il suo carisma e la credibilità raggiunte nel tempo l’Italia non avrebbe mai ottenuto un prestigio del genere. Il viaggio a Kiev è un traguardo per la nostra diplomazia, che a lungo in passato si è lasciata intontire da sirene populiste e lusingare dalle promesse dello zar. “Non può esistere una pace imposta”, Mario Draghi l’avrebbe ripetuto più volte in treno ai suoi interlocutori nel summit informale avvenuto nel cuore della notte. È la linea del nostro esecutivo convintamente europeista e atlantista.