Il disprezzo del Governo verso le grandi imprese italiane

In un momento in cui le classiche contrapposizioni tra destra e sinistra tornano a farsi sentire, lo scontro sullo sciopero generale si intreccia con una nuova direzione nella politica economica della destra italiana. Le critiche alla legge di bilancio 2024, particolarmente acute degli industriali, mettono in luce un cambiamento nei contorni della politica economica, spostandosi da una logica classista a una più sfumata, in cui i privilegi piccoli si alleano con quelli grandi.

Nella storia, lo sciopero generale è stato spesso un richiamo alla protesta dei deboli, ma le misure adottate dal governo Meloni sembrano seguire gli interessi di una coalizione conservatrice che non si conforma alle tradizionali stratificazioni di classe. La paura del cambiamento, alimentata dal rapido mutare del mondo attuale, sembra spingere chi difende privilegi minori a coalizzarsi con coloro che ne difendono di più consistenti.

Con i conti dello Stato che impediscono la realizzazione delle promesse elettorali, il governo è costretto a fare scelte che delineano una tendenza precisa. Una riforma fiscale è in cantiere, promettendo un alleggerimento del carico per le piccole imprese, con una maggiore tolleranza per l’evasione, mentre si prospetta un aumento per le grandi imprese. Le rendite immobiliari rimangono intoccabili, sottolineando una preferenza per imprese con gruppi proprietari chiusi, a discapito del capitalismo italiano che, in passato, ha trovato svantaggi nella competizione internazionale.

La notizia dell’abolizione dell’ACE, che garantiva incentivi alle imprese per aprirsi a nuovi azionisti, ha sollevato preoccupazioni sul futuro delle imprese italiane, soprattutto quelle di grandi dimensioni. La mancanza di attenzione alla competitività del sistema produttivo, come sottolineato da Confindustria, è un tratto distintivo delle misure attuali. Anche il ministro Giorgetti ammette che per le imprese è stato fatto poco.

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Il problema non è solo economico ma riguarda anche la mancanza di coraggio nel rompere equilibri consolidati che frenano l’efficienza e la competitività del sistema produttivo. La mancanza di azioni per accrescere la concorrenza, l’appoggio a tentativi di costruire nuovi monopoli e le barriere agli investimenti stranieri dinamici sono indicativi di una strategia che non si allinea con le necessità di un’economia moderna.

L’Italia, in ritardo nella crescita economica rispetto ad altri Paesi, deve affrontare problemi strutturali come la scarsa produttività delle piccole imprese, l’inefficienza dei servizi pubblici e un ritardo culturale complessivo. La qualità dell’impiego delle risorse pubbliche sembra stagnare, evidenziato dal persistente potere delle corporazioni nel difendere privilegi e richiedere sussidi. È essenziale un approccio più razionale e orientato al futuro per affrontare questi problemi e garantire una crescita economica sostenibile.